Quali sono dunque i cinque più importanti racconti nella produzione di Howard Phillips Lovecraft? Già arduo definire dei parametri di importanza fra valore dell’opera in sé, influenza letteraria etc., ma proviamo a individuare e circoscrivere un tale fatidico numero di titoli.
Dagon. Scritto nell’estate del 1917, appena dopo il primo racconto “La tomba”, e inizialmente pubblicato dall’amatoriale The Vagrant nel 1919, costituisce l’esordio professionale dell’autore con la sua uscita su Weird Tales nell’ottobre del 1923.
Sull’orlo del suicidio, il narratore descrive la propria traumatica esperienza di naufrago nell’Oceano Pacifico, approdato su un’isola appena riemersa dagli abissi ove s’imbatte in un enorme antico monolito, inciso coi simboli di una civiltà di uomini-pesce, e nella creatura che dal mare giunge ad adorarlo.
Edgar Allan Poe rappresenta il principale modello per le storie gotiche del primo periodo lovecraftiano, così come Lord Dunsany per le fantasie tra l’onirico e il meraviglioso. Come in Poe, per esempio, il solitario protagonista è in uno stato mentale alterato, e la credibilità del suo resoconto si affida alla sola fiducia e immedesimazione del lettore. Ma già in questo breve racconto si rivelano alcuni dei più tipici e personali temi dello scrittore: la sopravvivenza di civiltà non umane; la rivelazione sconvolgente che sovverte la percezione dell’uomo di essere il centro del proprio mondo; un orrore che si slega dal classico elemento soprannaturale per affrontarne uno che va oltre il naturale, in razionale addizione al possibile.
Le opere migliori di Lovecraft, quelle che hanno portato un vero, originale ed essenziale contributo al Fantastico del ventesimo secolo, sono quelle della maturità nel periodo che segue il suo ritorno a Providence, nel 1926, dopo i due problematici anni vissuti a New York. Senza porsi sullo stesso livello, “Dagon” trova tuttavia una certa importanza come base per un intero ciclo narrativo in seguito etichettato come “Miti di Cthulhu”, con almeno due notevoli storie, “Il richiamo di Cthulhu” e “La maschera di Innsmouth”, che ne rappresentano una sostanziale riscrittura.
Il richiamo di Cthulhu (The Call of Cthulhu). Composto fra l’agosto e il settembre del 1926, pubblicato nel febbraio 1928 da Weird Tales, dopo un iniziale rifiuto.
Un quadro spaventoso delle reale posizione umana nel cosmo si rivela al protagonista, ricomposto come un puzzle attraverso gli appunti dell’erudito prozio scomparso, i sogni straordinari di tormentati artisti, le indagini sulla recrudescenza di sinistri ed esotici culti, e la testimonianza di un marinaio di fronte al ritorno di un’antica e aliena minaccia.
Perno di una vera e propria rivoluzione copernicana nella concezione dell’orrore fantastico, il racconto ne ribalta la tradizionale visione antropocentrica e soprannaturale in favore di un punto di vista esterno, distaccato e “cosmico”, con la rappresentazione di un universo indifferente verso le sorti dell’umanità, se non incidentalmente ostile. Un realismo scientifico che rimette in discussione la percezione delle cose, applicato a uno stile narrativo che accumula allusioni, indizi, rivelazioni e atmosfere.
Le entità minacciose e perturbanti non sono divinità ma inesplicabili extraterrestri, o esseri extra-dimensionali che gli uomini non possono che scambiare per dei. Il potere che esercitano non è magia, ma un‘estensione o alterazione di leggi naturali altrettanto inafferrabili e ignote.
“The Call of Cthulhu” si pone come un rinnovato approccio al vecchio genere horror, stabilisce i canoni di una nuova influente pseudo-mitologia, e riassume in sé le principali tematiche e modalità lovecraftiane, quelle che appunto hanno trasformato in aggettivo il nome dell’autore.
Il colore venuto dallo spazio (The Colour Out of Space). Scritto nel marzo 1927 e uscito su Amazing Stories nel settembre dello stesso anno.
Un meteorite precipita nella campagna a occidente di Arkham, portando con sé un qualcosa di indefinibile, causa di orribili mutamenti nelle terre, nella fattoria e nella famiglia stessa dei Gardner.
Definito da Lovecraft come uno “studio d’atmosfera”, è uno dei suoi più suggestivi ed efficaci racconti, il primo del periodo maturo che torna a utilizzare i soli temi della fantascienza come veicolo di orrore. “The Colour Out of Space” prosegue sulla via della minaccia dal cosmo, incomprensibile ma scientificamente plausibile, rinunciando sia agli orpelli sovrannaturali del gotico che al proprio gioco di miti e allusioni.
Alle montagne della follia (At the Mountains of Madness). Scritto tra il febbraio e marzo 1931, questo romanzo breve venne rifiutato nello stesso anno da Weird Tales per essere in seguito pubblicato in tre puntate su Astounding Stories, non senza gravi errori e omissioni, nel febbraio, marzo e aprile del 1936.
Le inattese scoperte di una spedizione antartica rivelano una storia del mondo mai immaginata dall’uomo, fra le rovine di un’antichissima città i cui occupanti non sono affatto scomparsi.
Opera ambiziosa sia nel lungo formato che nei contenuti, estremamente descrittivi e poco adatti al pubblico medio dei pulp anni ’30, “At the Mountains of Madness” abbandona sempre di più i territori del vero e proprio horror per addentrarsi in quelli della science-fiction. Le concezioni estetiche e filosofiche maturate dal Gentiluomo di Providence si rispecchiano nella storia e civiltà degli Antichi, e delle altre specie che in milioni di anni hanno visitato o dominato la Terra. Una sorta di sistematizzazione di ciò che la sua narrativa descrive attraverso il mito, come distorta interpretazione degli uomini.
In questa nuova visione dominata dalla meraviglia piuttosto che dal terrore, l’alieno è qualcosa di più della solita ostile mostruosità. Gli esseri umani possono riconoscersi in esso, la sua civilizzazione rappresentare un modello di utopia. Come dirà la voce narrante, - “Radiati, vegetali, mostri venuti dalle stelle: qualunque cosa fossero, erano stati uomini!” -
L'ombra venuta dal tempo (The Shadow Out of Time). Dopo una travagliata composizione con diverse stesure fra l’autunno 1934 e il febbraio 1935, il lungo racconto esce ancora su Astounding Stories nel giugno del 1936.
A seguito di un lunga, strana amnesia, il Professor Peaslee è perseguitato da sogni e irreali reminiscenze. Effetto, scoprirà, di uno scambio mentale con alieni esploratori del tempo, provenienti da una remotissima era.
Considerato per molti versi il culmine della carriera letteraria di H.P. Lovecraft, “The Shadow Out of Time” prosegue nella direzione di un fantascientifico sense of wonder. Il tema del viaggio nel tempo è risolto in un affresco cosmico più efficace e coerente del precedente “Alle montagne della follia”, con un’attenzione che pare spostarsi sempre più al di fuori dell’umano. Caratterizzati in dettaglio nella loro biologia, storia e civilizzazione, gli extraterrestri della Grande Razza ancora incarnano un ideale di utopia basato sulle personali convinzioni dell’autore, rendendosi veri protagonisti del racconto.
(Articolo pubblicato sulla rivista Necro - anno I, numero II, maggio-giugno-luglio 2007)
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