venerdì 21 settembre 2007

I fantasmi del Giappone


Una breve panoramica sulle tradizioni spettrali del Sol Levante.

Prima dei manga e delle fortune cinematografiche di Hideo Nakata, l’invasione dei fantasmi giapponesi in occidente trova origini letterarie già nella fine dell’Ottocento, quando le tradizioni di un ancor poco conosciuto Sol Levante raggiunsero l’Europa influenzandone il gusto, dalle arti alla moda.

Lo scrittore Lafcadio Hearn fu tra i primi a far conoscere al resto del mondo le originali kwaidan, ovvero storie del sovrannaturale. Irlandese nato in Grecia, Hearn fu giornalista negli Stati Uniti, e, dopo aver molto, viaggiato finì con lo stabilirsi in Giappone ove prese cittadinanza restandovi sino alla morte, nel 1904. Affascinato dalla cultura locale, l’autore raccolse le narrazioni fantastiche e spettrali di quei luoghi, adattandole nei propri racconti, noti anche in Italia attraverso le edizioni Theoria e Tranchida.

Da questi stessi lavori vennero tratti, nel 1964, gli episodi dello splendido film Kwaidan (Kaidan) di Masaki Kobayashi, un candidato all’Oscar come miglior film straniero che fu in qualche modo precursore del recente successo degli horror nipponici basati su spiritiche presenze.

Le storie di spettri divennero maggiormente popolari con il periodo Edo (1603-1867), pubblicate in numerosi libri e diffuse in tutto il paese da narratori e cantastorie.
Secondo una vecchia usanza, la gente si riuniva nelle notti estive per raccontare a turno storie di fantasmi. Al termine di ogni storia un lume veniva spento, finché la luce via via affievolendosi non cedeva posto alle tenebre, lasciando che gli spiriti potessero finalmente apparire.

Il fantasma viene generalmente indicato con la parola obake, composta da o quale prefisso onorifico unito a bake, voce verbale di bakeru, che indica uno stato di trasformazione in corso. Gli spettri giapponesi sono infatti entità in eterna mutazione da una forma all’altra, pericolosi, anche se non necessariamente spaventosi, e capaci di nascondersi negli oggetti più comuni. Alcuni obake sono collegati al fuoco, in figure che possono delinearsi persino tra le braci del focolare domestico e altre fiammelle vaganti più simili ai nostri fuochi fatui. Altri si ricollegano al mondo animale, trasformandosi in volpi come nel folklore cinese.

Sul finire del XVIII secolo, l’artista e studioso Toriyama Sekien iniziò a classificare i vari tipi di obake in una serie di celebri e diffusi volumi, distinguendo gli esseri sovrannaturali fra gli yokai, apparizioni non sempre ostili che comprendono le creature mostruose, i demoniaci oni, custodi dei vari inferni buddisti, e infine i minacciosi yurei, autentici spettri di esseri umani defunti.

Secondo la fede scintoista, ogni persona possiede un reikon, uno spirito, che abbandona il corpo dopo la morte per ricongiungersi con le anime dei propri antenati. Gli spiriti degli avi sono considerati come presenze benevole, numi tutelari della famiglia celebrati nella festività estiva dello Obon, paragonabile alla nostra vigilia di Ognissanti. Il reikon di un trapassato può tuttavia tramutarsi in yurei nel caso di una morte violenta, oppure in mancanza delle adeguate cerimonie funebri, finendo col restare nel modo dei vivi in cerca di vendetta, o dello scioglimento di gravi questioni irrisolte.
Associati al colore bianco delle tradizionali vesti funerarie, tali fantasmi si manifestano di solito fra le due e le tre del mattino, limitati a vagare negli ambienti che furono loro familiari.

Adattandosi alle convenzioni letterarie e teatrali, che richiedevano più marcate caratteristiche per distinguere le apparizioni dai personaggi umani messi in scena, dalla metà del Settecento l’aspetto fisico dei ritornanti si fa sempre più terrificante. Lo yurei viene quindi descritto senza gambe, fluttuante su un’appendice nebbiosa e incorporea, spesso nascosta dalle falde dell’abito. Il suo corpo appare come un vuoto involucro, le sue pose si fanno rigide, le braccia protese, lo sguardo spaventoso.
Forse più prossimo alle sembianze del revenant classico, ma sempre profondamente diverso nella visione di un soprannaturale non vincolato ai canoni occidentali dell’eterno confronto fra il Bene e il Male.



(Articolo pubblicato su HorrorMagazine il 7 aprile 2005)

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