lunedì 29 dicembre 2008

L’avventura londinese o l’arte del vagabondaggio


“«L’avventura londinese o l’arte del vagabondaggio» ci propone una disciplina inconsueta, che utilizzando il «wandering» come vettore direzionale esplora la grande città alla ricerca delle antiche radici, affidandosi esclusivamente alle possibili confluenze dei tanti itinerari che incidono profondamente il tessuto metropolitano londinese. E così, se in senso spaziale Arthur Machen ci conduce lungo percorsi che si snodano attraverso luoghi periferici o apparentemente secondari o legati a vicende e personaggi della letteratura, in senso temporale il wandering scavalca il suo presente per spingersi tra ricordi e divagazioni, facendo convergere i diversi piani narrativi in lunghe digressioni che coinvolgono varie discipline: dall’architettura alla teologia, dalla critica letteraria alla storia ecclesiastica. E d’altra parte le digressioni che animano questo magistrale lavoro su Londra rappresentano anche il mezzo con il quale Machen può illustrare quella convinzione secondo la quale il mondo non è come sembra, e che dietro gli eventi quotidiani e gli oggetti comuni vi sia un segreto che è la chiave del grande enigma dell’esistenza dell’uomo. Arthur Machen è l’artista del prodigioso, il creatore di qualcosa al di là della vita e al di fuori del tempo”.

Ultimo dei tre volumi autobiografici di Arthur Machen dopo Far Off Things (1922) e Things Near and Far (1923), inediti in Italia, The London Adventure or the Art of Wandering (1924) è forse della trilogia il più affascinante, quasi romanzesco, mischiando ancora racconti – talora parziali o reticenti – della propria vita e carriera letteraria personale a spunti saggistici, cronache e aneddoti, ma facendo qui del vagare, come del divagare, un’arte. L’arte del “vagabondaggio,” appunto, in una Londra tra Otto e Novecento i percorsi della quale sembrano intessersi in una qualche strana metafisica dello sviluppo urbano; cenni di un mondo “altro” celato appena sotto la superficie delle cose. L’arte della divagazione, infine, consueta nello scrittore gallese, come a deviare per ogni traversa amena o altra destinazione interessante lungo il tragitto che ci viene illustrato passeggiando.

Un percorso d’architetture più grandiose di quanto mai sia possibile porre per iscritto, almeno nella percezione dell’autore che ben altro libro dal titolo di The London Adventure da subito confessa avrebbe voluto scrivere, dandocene invece un quadro indiretto in questo suo volume. Un libro nel libro per chi, come a suo tempo scrisse in Far Off Things, fa sogni di fuoco e si trova a lavorare con l’argilla. “One dreams in fire and works in clay”.

Tradotto da Franco Basso, L’avventura londinese o l’arte del vagabondaggio ritorna in libreria per i tipi dell’editore milanese Tranchida dopo una prima pubblicazione nel 1986, allora con la doppia firma di Basso insieme a Stefano Giusti sia per la cura che per la traduzione. L’edizione seguente del 1998, la stessa riproposta due anni dopo e ora qui per la presente uscita, sostituisce la breve prefazione di entrambi i curatori con l’attuale postfazione di Franco Basso, in cui si parla di “questa nuova traduzione” benché il testo appaia senza variazioni.

Stessa versione, appunto, mantenendo un utile apparato di note esplicative ma pure conservando, mai corretta negli anni, qualche svista... sino all’ironia involontaria di scambiare uno stato d’animo per una carrozza.

C’è una parola inusuale che ricorre, intradotta, nel quarto capitolo. A pagina 93, dove si legge “Tornai a Reigate in un dwam, come dicono in Scozia, senza sapere se mi reggevo sulla testa o sui piedi” (nell’originale, I drove back to Reigate in a “dwam,” as the Scots say; really not knowing wheter I stood on my head or my heels), e a pag. 94: “Andai a casa in quel dwam chiedendomi cosa avrei dovuto fare e infine scrissi la storia proprio come era successa” (di nuovo fra virgolette, I went home in that “dwam” and wondered what on hearth I was to do, and at least wrote the whole, true story, just as it happened). Alla nota numero 44 viene affidato quindi il compito chiarificatorio della definizione; “Dwam: tipo di carrozza scoperta usata in Scozia”.

Non è la prima volta che Machen adopera questa parola scozzese nei suoi scritti, la si incontra per esempio nel racconto breve Dr. Duthoit’s Vision, del 1921. E di sicuro non appare sui più diffusi dizionari ma, testimone fra gli altri un interessante articolo dello Scots Language Centre, “dwam” descrive piuttosto uno stato di “sogno a occhi aperti,” di stupore o rapimento estatico. A suo modo un “trasporto,” in effetti, ma non certo fisico né a trazione equina.

Divagazioni a parte, irresistibili di fronte a un’opera capace di tesserne un intero arazzo senza mai perdere il filo o disperderne la trama, la ristampa de L’avventura londinese è un’ottima occasione di lettura – o rilettura – d'uno scrittore legato finora soltanto ai generi del fantastico, o al più all’estetica decadente e mistica fra i due scorsi secoli. Un interesse italiano che sembra finalmente rinnovarsi, confermandosi con questa terza uscita macheniana in solo anno dopo Gli Arcieri e altre leggende di guerra - Il Terrore (Miraviglia, 2008) e Il segreto del Graal (Liberamente, 2008), con una riedizione – o ristampa – de La collina dei sogni che si annuncia in prossimo arrivo ancora presso Liberamente Editore.

Di Franco Basso è anche la versione dei nove racconti di Arthur Machen raccolti in Oltre la soglia, un volumetto tascabile pubblicato da Tranchida nel 1993 ma tuttora disponibile.


“It is possible, just dimly possible, that the real pattern and scheme of life is not in the least apparent on the outward surface of things, which is the world of common sense, and rationalism, and reasoned deductions; but rather lurks, half hidden, only apparent in certain rare lights, and then only to the prepared eye; a secret pattern, an ornament which seems to have but little relation or none at all to the obvious scheme of the universe”.
(The London Adventure, I ed. Martin Seker, London 1924; Chapter I, pag. 21)


“È possibile, oscuramente possibile, che il vero schema e tracciato della vita non appaia nell’aspetto esteriore delle cose, che è il mondo del buon senso, del razionalismo, delle deduzioni ragionate, ma piuttosto affiori, seminascosto, visibile unicamente in certe rare illuminazioni e solo a un occhio preparato; un tracciato segreto, un ornamento che sembra soltanto avere una piccola relazione o nessuna del tutto con l’ovvio schema dell’universo”.
(L’avventura londinese, Capitolo I, pag. 21, traduzione di Franco Basso)


L’avventura londinese o l’arte del vagabondaggio
Arthur Machen
Collana Le voci, Giovanni Tranchida Editore, 2008
rilegato, 134 pagine, Euro 14,50
ISBN 9788880033226


3 commenti:

Anonimo ha detto...

Ciao Andrea, come stai?
Sono Simone, il vecchio TigerBem di Horrormagazine...
Ho trovato il tuo blog per purissimo caso, complimenti per la recensione, è stato un piacere ritrovarti e ritrovare il grande Machen!

Andric70 ha detto...

Un brindisi (in ritardo) al mio/nostro Weirdgilio...
Un abbraccio!
Andrea

Andrea Bonazzi ha detto...

Grazie, buon ennesimo giro attorno al Sole!...