martedì 29 gennaio 2008

Gli assediati


In un mattino di luglio, la cittadina di Semur viene improvvisamente avvolta da una terribile e inspiegabile oscurità: è il preludio al risveglio delle anime dei morti che cacceranno fuori dalle mura gli abitanti, meschini e materialisti, finché non avranno ritrovato le qualità necessarie per comprendere “il vero significato della vita.”
Le testimonianze si susseguono affiancandosi l’una all’altra, aumentando il senso di incertezza e frammentarietà della vicenda, che si trasforma così in un caleidoscopio di impressioni e visioni personali.
«Gli assediati»
è un lungo racconto gotico, forte e innovativo.

C’è ancora un oceano di vecchi inediti a disposizione, nel campo della letteratura fantastica, che i colossi della nostrana editoria continuano a ignorare: romanzi o intere raccolte di pubblico dominio, di autori anche ben noti ma oramai “trapassati abbastanza” da non richiedere più diritti d’autore. Pure risparmiando sul copyright, tuttavia, occorre sempre investire qualcosa nella traduzione; la stampa di lunghi testi ha il brutto vizio di non esser troppo economica e piuttosto che rischiare con un prodotto senza la garanzia del “classico” né l’appeal del bestseller, meglio allora fossilizzarsi su più sicure riedizioni e ristampe.

Se i “grandi” non osano farlo, a pescare in tale mare letterario sono per fortuna i piccoli e medi editori, come la Azimut di Roma con Gli assediati (A Beleaguered City, 1880), un romanzo dell’inglese Margaret Oliphant per la prima volta in italiano nella versione di Lorenzo Cioni.

Pubblicato sul New Quarterly Magazine nel gennaio 1879 e riveduto l’anno seguente per l’edizione in volume, Gli assediati adatta il medesimo tema oltremondano del quasi omonimo The Beleaguered City (1839), celebre poema di Henry Wadsworth Longfellow che descrive uno spettrale assedio di Praga da parte di spiriti dei defunti.

La Oliphant ambienta in un’isolata cittadina francese il suo romanzo d’impronta morale ancor prima che fantastica. Le vicende degli abitanti di Semur, esiliati dalle loro stesse case dalla presenza mai visibile ma nettamente percepita dei morti, si rivelano attraverso le cronache di una molteplicità di voci, ognuna caratterizzata dalla propria individuale visione talvolta anche ottusa e parziale delle cose. Un approccio moderno, dunque, nonostante il moralismo vittoriano che da sfondo alla storia; realistico e tutto sommato disincantato nel constatare l’esito delle reazioni umane di fronte al soprannaturale, o persino al divino.

A Beleaguered City molto piacque, fra l’altro, a Robert Louis Stevenson: altro scrittore inglese a prediligere un fantastico forse troppo rigorosamente inteso come morality tale. La quarta di copertina del volume riporta un entusiastico brano da una sua lettera all’autrice: “Ho pensato spesso a quante frecce un autore scagli in aria. Con «Gli assediati» ne avete conficcate tre o quattro nel mio animo. Ho pianto di cuore; mi sento meglio dopo queste lacrime e vorrei ringraziarvi.”

Nota in Italia soprattutto per le sue storie di fantasmi, alcune delle quali nei volumetti Storie impossibili (Lucarini, 1989) e La finestra (Tranchida, 1994), di Margaret Oliphant sono disponibili in edizioni con testo originale a fonte il racconto La finestra della biblioteca (Marsilio, 2003) e il romanzo La terra delle tenebre (Editrice Nord, 1990) per il quale è previsto una ritorno in stampa presso l’editore Lupetti.

Come in molte altre uscite recenti presso diversi editori, si conferma la generale tendenza a rinunciare a un apparato critico o introduttivo, qui limitato alla nota biografica sul risvolto. E anche forse a una più attenta revisione del testo, il quale conserva alcune infelici rese letterali come “Volare non potevo, ma non nego che le ginocchia mi divennero molliper “Fly I could not, but I will not deny that my knees smote together.”

Ottima l’iniziativa di mettere a disposizione un “assaggio” del romanzo, il cui primo capitolo è liberamente scaricabile in formato PDF compresso in Zip dall’apposita pagina sul forum di azimutlibri.com.

Gli assediati
Margaret Oliphant
collana Aion, Azimut, 2007
brossura, 136 pagine, Euro 7,90
ISBN 978-88-6003-054-2


domenica 27 gennaio 2008

Sophie M. Klesen, “SoMK”




“Il materiale sembrava essere principalmente oro, sebbene uno strano luccichio lasciasse intendere qualche strana lega d’altrettanto belli e scarsamente identificabili metalli. Le sue condizioni erano quasi perfette e si potevano passare ore intere nello studio dei sorprendenti disegni, insoliti in maniera sconcertante — alcuni semplicemente geometrici e altri chiaramente marini — cesellati o foggiati in rilievo, sulla superficie, con un’arte d'abilità e grazia incredibili.”

“The material seemed to be predominantly gold, though a weird lighter lustrousness hinted at some strange alloy with an equally beautiful and scarcely identifiable metal. Its condition was almost perfect, and one could have spent hours in studying the striking and puzzlingly untraditional designs — some simply geometrical, and some plainly marine — chased or moulded in high relief on its surface with a craftsmanship of incredible skill and grace.”
(H. P. Lovecraft, The Shadow Over Innsmouth, 1931)


Nata in Francia nel 1965, Sophie M. Klesen ha vissuto fra il Marocco, l’Inghilterra e la Francia per trasferirsi infine a Montréal, in Canada, dove vive con il marito e un furetto domestico insegnando calligrafia e tecniche di miniatura dei manoscritti. Ha studiato matematica per poi dedicarsi invece al campo artistico, pur senza una preparazione accademica, imparando i rudimenti dell’arte orafa presso un artigiano a Parigi.

Le sue opere firmate con l’acronimo SoMK spaziano dalla scultura all’illustrazione classica, ritraendo fra l’altro l'Eymerich di Valerio Evangelisti, per quanto assai più particolarmente colpiscano i suoi fantastici gioielli sospesi tra reminiscenze Art-Nouveau, ispirazioni fantasy e fascinazioni dichiaratamente lovecraftiane. Una lunga intervista a Sophie Klesen è disponibile in inglese su epilogue.net.

Gallerie: pagine personali su deviantart ed elfwood. Sito ufficiale: tekelili.com.

lunedì 14 gennaio 2008

Hypnos #2: Jean Ray e Alfred Kubin nell'incubo


È l’incubo il filo conduttore della seconda uscita di Hypnos, rivista di letteratura e fantastico curata da Andrea Giusto, dedicata in questo numero al belga Jean Ray, autore di romanzi e racconti gialli e fantastici, e al boemo Alfred Kubin, illustratore espressionista e occasionale scrittore visionario e fantastico: entrambe figure colpevolmente trascurate in Italia.

Del primo vengono proposti i racconti Faccia di luna (Têtes-de-Lune, 1961) nella traduzione di Fabio D’Andrea apparsa su L’Eternauta nel 1990 e, inedito, Passare alla cassa! (Passez à la Caisse, 1958) insieme all’autobiografia del tutto romanzata con la quale Ray amava presentarsi al pubblico, tradotti da Francesco Lato che firma anche l’ottima introduzione all’autore, definito “l’ultimo dei gotici” e da tempo difficilmente accessibile in italiano. Pressoché introvabile la sua raccolta 25 racconti neri e fantastici (Baldini & Castoldi, 1963), poco meno arduo a reperirsi è il romanzo Malpertuis, pubblicato da Sugar nel 1966 e riproposto nel ’90 nella collana da edicola Horror di Mondadori. A parte le rare inclusioni in antologia, solo nel 2007 è apparso presso Mondo Ignoto La casa di Fulham Road e altri orrori, che raccoglie qualche breve titolo fantastico assieme ad alcuni gialli del ciclo di Harry Dickson e varia saggistica sullo stesso Jean Ray.

Disegni e riproduzioni dell’opera di Kubin, inquietanti e oniriche, illustrano l’intero fascicolo dalla copertina agli interni accompagnandosi a Caccia al vampiro (Die Jagd auf den Vampir, 1925), un'inedita stora breve dell’artista tradotta da Pietro Vaccaro, preceduta da un saggio di Andrea Giusto a presentazione dell’“evocatore di sogni” Alfred Kubin. Scomparso nel 1959, la sua singolare figura artistico-letteraria è da noi nota principalmente per L’altra parte. Un romanzo fantastico (Die andere Seite. Ein Phantastischer Roman, 1909), romanzo surreale e antiutopico pubblicato da Adelphi nel 1965 con diverse successive ristampe, ultima delle quali nel 2001.

Completano il tutto Come foglie d’autunno, un racconto del premio Urania Giovanni De Matteo, insieme all'intervento di Giuseppe Lippi sul cinema e la letteratura dell’incubo e alla rubrica di zoologia fantastica di Dyane B. Alexander.

Acquisita maggiore sicurezza e uniformità tematica rispetto al numero d’esordio che, ricordiamo, presentava inediti di tutto prestigio fra Thomas Ligotti e Walter de la Mare, la testata si prospetta come un’ideale nicchia, appartata e protetta, dove coltivare l’apparentemente raro interesse per il Fantastico al fuori dei limiti di genere ed espressione; riscoprendo autori e artisti dimenticati o ignorati dal “supermercato” editoriale nostrano, senza con ciò negare spazio a voci nuove.

Pubblicazione senza fini di lucro, Hypnos si trova in vendita via web presso delosstore.it. Per informazioni e contatti: hypnosmagazine@gmail.com.

Hypnos. Rivista di Letteratura e Fantastico
anno I, numero II, autunno 2007
fascicolo, 44 pagine, Euro 3,00 ( + spese postali )

Contenuti:

Incubi e deliri editoriale di Andrea Giusto
Faccia di luna racconto di Jean Ray
Passare alla cassa! racconto di Jean Ray
Jean Ray. Un’autobiografia di Jean Ray
L’ultimo dei gotici di Francesco Lato
Come foglie d’autunno racconto di Giovanni De Matteo
Il paese dell’incubo di Giuseppe Lippi
Zoologia fantastica. Il Caladrio di Dyane B. Alexander
Inkubin. Alfred Kubin, l’evocatore di sogni di Andrea Giusto
Caccia al vampiro racconto di Alfred Kubin
Sogni in vendita libri, fumetti, riviste


sabato 12 gennaio 2008

Dean Kuhta




L’americano Dean Kuhta ha pubblicato illustrazioni su riviste specializzate come Dark Wisdom e nell'ambiente del gioco di ruolo (Mysteries of Morocco, Chaosium 2004). Sui toni del grottesco e di una sardonica ironia, i suoi complessi e spesso tenebrosi disegni a carboncino e inchiostro sembrano ispirarsi all’opera di un Sidney Sime, o anche di un Hannes Bok per morbidezza ed esotismo fiabesco delle forme.

Nato in Virginia nel 1975, Khuta si trasferisce ventenne a San Francisco dopo aver frequentato l'università di Radford e il Maryland College of Art and Design. Sposato, diventa programmatore informatico lavorando, fra l'altro per la NASA, sino a intraprendere la carriera militare arruolandosi nel 2002 nella United States Air Force.

Gallerie: pagine di Dean Kutha su GFXartist.com e PODgallery.com.

giovedì 10 gennaio 2008

Lampi di Tenebra, a teatro con Lovecraft e Poe


L’Associazione il Nuovo Mondo presenta Lampi di Tenebra, dai racconti di Howard Phillips Lovecraft e Edgar Allan Poe, uno spettacolo teatrale per la regia di Gianluca Frigerio in scena da mercoledì 9 a domenica 27 gennaio presso il Teatro Caboto, in Via Caboto 2 a Milano.

La rappresentazione, della durata di 80 minuti senza intervallo, rinuncia a un filo conduttore vero e proprio preferendo dar vita a otto racconti scelti dall’opera letteraria dei due scrittori americani: Il cuore rivelatore (The Tell-Tale Heart, 1843), Berenice (1835), Il ritratto ovale (The Oval Portrait, 1842) e Il sistema (da The System of Dr. Tarr and Prof. Fether, 1845) di Edgar Allan Poe, e Spettri (da The Ghost-Eater, scritto con C.M. Eddy, 1923), La vecchia terribile (da The Terrible Old Man, 1920), La musica di Erich Zann (The Music of Erich Zann, 1921) e I gatti di Ulthar (The Cats of Ulthar, 1920) di Howard Phillips Lovecraft.

L’intento è quello di rappresentare le agghiaccianti, inquietanti e spettrali visioni di questi due autori senza tradire l’espressione letteraria con cui ci sono apparse. In pratica, la bellezza e l’efficacia quasi magica, di cui sono impregnate le pagine scritte da questi due autori, si perdono completamente quando si passa alla rappresentazione di quelle stesse pagine sul palcoscenico. Perché si tratta di una geniale e subdola letteratura che riesce a far vedere solo quello che unicamente leggendo possiamo vedere. Possiamo leggere di un vampiro, di un cadavere che parla, di un incantesimo, di un universo buio, di una casa piena di fantasmi e leggendo li vediamo.

Ma per vederli comparire davanti a noi sulle tavole di un palcoscenico è necessario adattare queste visioni alle difficili regole che formano uno spettacolo, vale a dire: la drammaturgia, la regia, la recitazione. Drammaturgia che è stata elaborata durante il laboratorio “Medusa” attraverso una concreta collaborazione tra gli attori e i drammaturghi che, lavorando insieme sui singoli racconti, li hanno ridotti alla vicenda essenziale senza però tradirne lo spirito originale.

La regia, come a dire, la scelta della forma con cui si mette in scena la vicenda, ha, con convinzione, preso la decisione che la forma doveva essere quella della letteratura del racconto. In “Cuore Rivelatore” di Poe, ad esempio, il racconto rimane in prima persona e al tempo passato, ma viene recitato da due attrici contemporaneamente. In “Berenice”, sempre di Poe, un attore solista interpreta il racconto in concerto con il coro di attrici. In altri racconti, come “La vecchia terribile” o “Spettri” o “La musica di Erich Zann”, scritti da Lovecraft, la forma della rappresentazione è mista perché dal racconto individuale si passa alla scena dialogata e viceversa.

La recitazione: il lavoro sui personaggi che vivono quella vicenda. Personaggi intesi come coloro che danno voce e corpo alla letteratura di Poe e di Lovecraft. Personaggi che parlano di inquietanti, agghiaccianti, spettrali visioni. Forse, con un paragone un po’ azzardato, possiamo dire che i personaggi di questo spettacolo sono le pagine degli otto racconti da cui è tratto, pagine macchiate di sangue, piene di tenebre, pagine di nebbie, gatti, quadri, pazzi, licantropi.

Otto forme per rappresentare la letteratura di otto racconti, con otto vicende diverse e con personaggi reali cui capitano avvenimenti irreali. Ogni racconto si svolge in una sua atmosfera, con una sua luce e una sua ombra, una sua musica e il suo silenzio.

Lampi di Tenebra
dai racconti di Howard Phillips Lovecraft e Edgar Allan Poe
Regia e drammaturgia: Gianluca Frigerio
Direttore di scena: Andrea Forneris
Collaborazione ai testi: Andrea Salvatici
Scenografia: Katia Giammarino
Effetti sonori: Andrea Arrigoni
Con gli attori del laboratorio “Medusa”: Andrea Arrigoni, Roberta Arrigoni, Dorothy Barresi, Debora M. Bossi, Ilaria d’Alberti, Patrizia Denaro, Andrea Forneris,,Rita Giacchetti, Stefano Guerriero, Milvys Lopez Homen, Lisa Moras, Giada Stoppa, Davide Tosetto
Dal 9 al 27 gennaio 2008 al Teatro Caboto, Via Caboto 2 - Milano
- tel. 0270605035
Spettacoli: ore 21.00 - domenica ore 16.00 - lunedì e martedì riposo
Ingresso: intero Eu. 12,00 - ridotto Eu. 10,00 - convenzioni e
over 60 Eu. 8,00 - under 20 Eu. 5,00

Informazioni: www.teatrocaboto.it

martedì 8 gennaio 2008

Dizionario dei luoghi letterari immaginari


“Chi ama i repertori, meglio se un po’ stravaganti, si potrà divertire molto con il Dizionario dei luoghi letterari immaginari che affronta impavido città e castelli, paesi e isole, montagne e boschi... [...]. I luoghi immaginari presuppongono, nota l’Autrice, quasi sempre un viaggio. I lettori, infatti, sono andati sulla luna molto prima degli astronauti, per di più spendendo pochissimo.” (Paolo Mauri, La Repubblica)

“Un eccezionale Dizionario ci guida nei posti più remoti dove gli scrittori hanno ambientato le loro storie. Da Bengodi a Itaca fino alla «Pequod»: un repertorio immenso.” (Luigi Sampietro, Il Sole 24 Ore)

“Per chi non si accontenta delle convenzionali mete turistiche, per chi preferisce viaggiare «al centro della propria stanza» con la fantasia di un buon libro, nulla di meglio come baedecker del Dizionario dei luoghi letterari immaginari. Un catalogo che consente di andare da «Aar» — il paesello scenario del romanzo di Grazia Deledda «La madre» — a «Zyundal» — una delle isole della saggezza di Alexander Moszkowski — passando attraverso le più celebri meraviglie immaginate da Apuleio a Bacone, da Marco Polo a Orwell, da Borges a Calvino.” (Tuttolibri)

“II Dizionario dei luoghi letterari immaginari della filologa Anna Ferrari, primo per esaustività nel suo genere, non è solo un imponente lemmario, ma è anche un viaggio fantastico attraverso trenta secoli di letteratura.” (Guido Caserza, La Sicilia)

Questi gli stralci di recensione che compongono la quarta di copertina del volume, riferiti alla prima e costosissima edizione uscita nel 2006. Più prossimi forse allo spot pubblicitario che a una reale informazione sui contenuti dell’opera, specie in assenza di una vera nota editoriale, nemmeno sul risvolto.

Repertorio delle principali località create dalla fantasia degli scrittori di ogni tempo, il Dizionario dei luoghi letterari immaginari compilato da Anna Ferrari rivolge la propria attenzione principalmente alle letterature occidentali, spaziando dai luoghi del racconto mitologico alla leggenda medievale, sino ai teatri dell’Utopia e le ambientazioni romanzesche moderne. Luoghi reali, familiari o esotici ma protagonisti d’irreali vicende; toponimi realistici ma inesistenti; siti d’invenzione in tempi e mondi alternativi, dai classici al mainstream contemporaneo con ampie e obbligate incursioni, per quanto distratte, nei generi propri del Fantastico.

Nomi e descrizioni di locazioni o ambienti d’invenzione poetica e narrativa sono raccolti in oltre seicento fitte pagine, ordinati in più o meno estese voci alfabetiche con citazione dell’autore e conciso riassunto delle opere in cui fanno comparsa. Grande attenzione per la letteratura italiana e quella dell’antichità classica, egregiamente affrontata. Tra gli argomenti maggiormente approfonditi vi è l’Ade associato all’intero concetto di “oltretomba,” mentre fra gli autori è senz’altro J.R.R. Tolkien il più presente, superando probabilmente le centocinquanta entrate con l’estesa topografia della sua Terra di Mezzo. Completano il volume un indice degli autori e delle opere, seguito da un ulteriore indice per tipologia del “luogo immaginario” che dalla “A” delle abbazie alla “V” dei vulcani aiuterà il lettore a districarsi in un mare di scenari di questo e altri mondi.

L’impresa è monumentale e il dizionario ben regge l’àmbito della letterarura in generale, limitandosi però necessariamente in quella fantastica tra fantascienza, fantasy e horror, che dei “luoghi letterari immaginari” rappresentano le più consistenti se non precipue sedi. Proprio per quanto riguarda questi generi i criteri di scelta, basati su rappresentatività e fama, sembrano in realtà dovere parecchio ai riferimenti bibliografici consultati, limitandosi agli stessi periodi di aggiornamento e forse alle medesime scelte, riducendone talora meccanicamente le sinossi riportate, confondendo la fonte citata con il titolo dell’opera stessa o perpetuando inesattezze in nomi e titolazioni originali, altrimenti facilmente verificabili.

Pochi gli autori di genere successivi agli anni 80: niente di Neil Gaiman e due sole citazioni dal mondo di Harry Potter. Inclusione di un ben scarsamente significativo Lin Carter ed esclusione di un Eric Rucker Eddison o un Lord Dunsany. Prevedibilmente poco horror: da Stephen King si trovano Castle Rock, Derry e Tarker’s Mill, mentre H.P. Lovecraft è saldamente presente con una quarantina o più di voci… e qualche imprecisione. Yuggoth trasformato in “Yogguth”; trame fraintese; la rivista Arkham Sampler e le raccolte scambiate per titoli di romanzi. Ma sorvoliamo sul come si scriva “Chthulhu:” il mondo ha problemi più urgenti!

Un dizionario del tutto preciso ed esaustivo in queste aree avrebbe tuttavia richiesto interi altri tomi, o una specializzazione che esula dagli scopi di un pur vasto e valido strumento di consultazione come questo.

L’autrice, studiosa di antichità greche e romane, ha pubblicato diversi saggi sulla cultura del mondo greco e latino e, sempre per la UTET, un Dizionario di mitologia nel 1999.

Dizionario dei luoghi letterari immaginari
Anna Ferrari
collana Libreria,
UTET, 2007
brossura con sovracopertina, XXIII-654 pagine, Euro 24,00
ISBN 978-88-02-07868-7


domenica 6 gennaio 2008

La lista della spesa di Lovecraft


Ci avevamo giocherellato sopra in un post precedente, ma da allora pare che il fantomatico Le liste della spesa di H.P. Lovecraft voglia assumere una propria vita da pseudobiblium. Idea balzana ma neanche poi troppo assurda, in fondo, perché volendo compilare una cosa del genere il materiale nemmeno occorrerebbe inventarselo: basterebbe frugare un po’ tra le migliaia di pagine d’epistolario.

In particolare, una sorta di “lista della spesa” c’è davvero, in una lettera del 20 dicembre 1936 a Jonquil Stephens, la prima moglie di Fritz Leiber. Sia lei che il marito corrisposero con Howard Phillips Lovecraft nel corso dei suoi ultimi sei mesi di vita, e proprio Jonquil si dimostrò preoccupata per la salute del gentiluomo di Providence e l’estrema povertà della sua dieta.

La risposta di Lovecraft si trova nella parte centrale della lettera, tratta da Selected Letters vol. V, 1934-1937, Arkham House 1976 (n.912, pag. 379) e del tutto inedita in italiano:

“Parlando di questioni economico-industriali — mi lasci assicurarle che un programma dietetico da 2 o 3 dollari a settimana non implica nemmeno una particola di malnutrizione o sgradevolezza al palato, sempre che uno sappia che cosa prendere e dove procurarselo. Le scatolette e i delicatessen celano possibilità meravigliose! Porridge? Mehercule! Al contrario, i miei gusti reclamano i più piccanti e speziati ingredienti concepibili, e dessert che siano prossimi quanto possibile al 100% di C12H22O11. In effetti, di quest’ultimo articolo non ne consumo mai meno di quattro cucchiaini in una normale tazza di caffè. Pietanze preferite — spaghetti italiani, chili con carne, goulash ungherese (salvo quando posso avere carne bianca di tacchino in salsa piccante). Se questo è ascetismo, sfruttiamolo a pieno! Quanto agli elementi di spesa — per cominciare, mangio due volte sole al giorno per scelta… o piuttosto, per opportunità digestiva. Avevo adottato tale programma di due pasti molto prima di dover fare economia. Il resto è meramente questione di giudizio e lungi da una scelta di auto-privazione. Andiamo a investigare le razioni di una giornata tipica.

(a) Colazione (che io la mangi prima o dopo essermi ritirato, dipende se mi ritiro alle 2 a.m. o alle 9 a.m. o in qualche altra ora. Il mio programma di sonno e veglia è molto flessibile.)

    Ciambella dello Weyhasset Pure Food Market . . . 0.015

    Formaggio York State Medium (per amor delle cifre tonde) . . . 0.060

    Caffé + latte condensato Challenge Brand + C12H22O11 . . . 0.025

    ___________________

    Totale Colazione . . . 0.100

(b) Cena (che ha luogo vagamente tra le 6 e le 9 o 10 p.m.)

    1 scatoletta Rath di chili con carne* . . . 0.100

    2 fette di pane Bon Bread . . . 0.025

    Caffè (con accessori come sopra) . . . 0.025

    Fetta di torta oppure quarto (od ottavo) di crostata . . . 0.050

    ___________________

    Totale Cena . . . 0.200

    ___________________

    Totale Complessivo per Giorno Intero . . . 0.30

    7

    ___________________

    Totale Medio per Settimana . . . 2.10

( * oppure pasticcio di manzo in scatola Armour o fagioli pronti dal delic., o salsiccia di Francoforte Armour o spaghetti con polpette di carne Boiardi, o chop suey dal delicatessen o zuppa di verdure Campbell, etc., etc., etc.)

Talvolta, ovviamente, ci sono esorbitanti aggiunte — come frutta a colazione, o formaggio e torta a cena, oppure una barretta di cioccolato o un gelato fuori orario, o una pietanza di carne che costi più di 10 centesimi, o altri sibaritici lussi. Ma perfino le più luculliane indulgenze raramente toccano un settimanale di 3 dollari. E di questo il Vecchio ancora vive — in un discreto vigore e stato di salute! Abbastanza stranamente, ero un semi-invalido nei vecchi giorni quando non facevo economia. Porridge? Non per il Nonno!......”


A titolo di nota, facendo finta che già lo sapessimo: "Mehercule!" è un’esclamazione volgare latina; con delicatessen s’intendono anche i cibi pronti del negozio; C12H22O11 è formula chimica dello zucchero e il chop suey è un piatto della cucina cinese americana. Il testo integrale della lettera si può leggere in lingua originale sulle pagine di NehwoN, sito web francese dedicato a Fritz Leiber.


venerdì 4 gennaio 2008

Mark Powell, diorami dell'altrove




Si parla a volte di “arte viscerale” ma qui, in questi diorami che di viscere e nude carni paiono realmente comporsi, la locuzione andrebbe presa alla lettera. Complessi quadri d’insieme, assemblati e rifiniti nel minimo dettaglio come in una sorta di modellismo infernale, nel quale l’obiettivo della fotocamera, come l’occhio, fatica a definire contemporaneamente ogni singolo particolare.

Nessuna informazione sui materiali e le tecniche di realizzazione: forse cera, a giudicare dall’aspetto, utilizzata per modellare le parti “organiche.” E occore scavare tra i commenti alle immagini, sparsi in rete, per scoprire che le dimensioni di questi plastici scultorei partono dai venti centimetri in altezza.

Ancora meno rivela di sé l’autore. Mark Powell vive a Melbourne, in Australia, ove disegna, dipinge e scolpisce sui temi del fantastico e del surreale “più o meno lavorando in totale isolamento,” come afferma egli stesso, dicendosi ispirato dalle proprie ossessioni e anche, in parte, dalle visioni d’incubo conseguenti all’uso di sostanze psichedeliche. Tra le sue influenze, Powell indica il grande pittore surrealista australiano James Gleeson, così come i classici Zdzisław Beksiński e H.R. Giger fra gli altri.

Gallerie: Mark Powell su flickr.com e sul sito ufficiale MarkPowellArt.