mercoledì 25 marzo 2009

Jerome Huguenin, sulle tracce di Cthulhu



Classe 1975, sposato, una figlia: il francese Jérôme Huguenin è un illustratore freelance che lavora per alcuni editori e riviste locali in Francia, ma è principalmente attivo nel campo delle pubblicazioni relative ai giochi di ruolo, talora firmandosi con lo pseudonimo di Jee.

Fra i role-playing illustrati, spiccano le collaborazioni con Pelgrane Press per titoli come Dying Earth, Esoterrorists, Fear Itself e, soprattutto, le straordinarie tavole realizzate per i moduli e supplementi di Trail of Cthulhu, il gioco lovecraftiano di Kenneth Hite che molto deve alle atmosfere evocate dall’artista, fra l’iperrealismo fotografico del particolare e una vaghezza inafferrabile e fantastica d’insieme.

Stando alla nota biografica sul sito della Pelgrane Press, Huguenin “quando non è al lavoro di solito suona il basso, o cerca di coltivare frutta e verdura. Quella che marcisce va a finire nella collezione di foto usate per le sue creazioni – perfetta per la resa della pelle d’un mostro!”

Gallerie: blog personale Grises Mine; sito web ufficiale jerome.huguenin.free.fr (in attuale allestimento); tavole per Trial of Cthulhu su scifi-universe.com.

lunedì 23 marzo 2009

L’ascesa e il crollo dei “Miti di Cthulhu”


… operare nel filone di Lovecraft non è in ogni modo una ricetta per il disastro estetico. Nel giovane scrittore, una imitazione diligente può servire come valido trampolino per lo sviluppo di capacità letterarie che potranno essere poste altrove a miglior uso; per lo scrittore esperto che cerchi di sfruttare concezioni lovecraftiane in un lavoro inteso ad avere indipendente valore estetico, l’esercizio può risolversi in trattazioni potenti e ben distinte se tali concetti vengono usati entro il quadro della visione estetica propria dell’autore. Il brusco assioma di Samuel Johnson, «nessuno è mai giunto a grandezza con l’imitazione,» resta vero a più di duecento anni dalla sua pronuncia. Ma quegli scrittori che fanno qualcosa di più della mera imitazione di Lovecraft hanno una chance di produrre opere che vivranno, e che meritano di vivere.” (S.T. Joshi)

Questa, tradotta qui per l’occasione, la quarta di copertina di The Rise and Fall of the Cthulhu Mythos, titolo un po’ provocatorio – e giustamente non troppo serioso – del volume che S.T. Joshi dedica alla nascita e gli sviluppi dei cosiddetti “Miti di Cthulhu,” originati da un ciclo di racconti di H.P. Lovecraft e trasformati, “con il passare di strani eoni” e coll’emulazione spesso superficiale di ancor più strani autori, in fenomeno dapprima squisitamente letterario e poi mediatico.

Il libro è ovviamente in inglese, pubblicato in America dalla piccola e specializzata Mythos Books e qui irreperibile se non tramite librerie online e vendite per corrispondenza. Il che rende paradossalmente ancor più necessario parlarne, qui in Italia dove la più diffusa critica su Lovecraft – limitandoci a questo tema nell’horror letterario – è pressoché in letargo da decenni, salvo per quelle poche minuscole realtà, quasi invisibili e faticosamente coltivate, da cui proviene guardacaso la rara saggistica italiana di settore a trovar credito finalmente oltreconfine. Insomma, “qui” dove l’unico modo per avere accesso a certe cose è ancora quello di imparare a leggere in un’altra lingua.

L’attenzione, in questo caso, non è tanto verso l’autore di culto per soliti maniaci fanzinàri. Che si voglia o no, “lovecraftiano” è anche da noi un aggettivo d’uso ormai corrente; Lovecraft è uno scrittore di quelli tanto pubblicamente nominati quanto poco effettivamente letti e conosciuti – come Stoker col suo Dracula, per fare un vago paragone. Cthulhu e un’intera genia mostruosa dai nomi imbottiti di “th” sono definitivamente accolti nell’immaginario collettivo, non solo e necessariamente dai giovani: una marea di persone che da decine d'anni interagiscono con essi, con le loro tematiche dal cinema e lo spettacolo alla musica; dai fumetti ai giochi di società, elettronici, di ruolo, di carte collezionabili o quant’altro. Fino alle derive magico-esoteriche di chi prende terribilmente sul serio queste cose.

Gente che si proclama ovunque fan di Lovecraft, convinta di conoscerlo magari in virtù dei libri scritti a nome suo; più spesso dopo anni di controculture varie, di dischi, comics, film e soprattutto moduli di gioco. Al che qualcuno si mette finalmente a leggerne i racconti, possibilmente con un filo di attenzione, e scopre che le pagine che si ritrova fra le mani non coincidono per filosofia e contenuti con quei “Miti di Cthulhu” dati da sempre per scontati.

Tornando all’opera di Joshi, biografo di Howard Phillips Lovecraft e curatore delle definitive edizioni dei suoi testi, The Rise and Fall of the Cthulhu Mythos è essenzialmente un’indispensabile cronistoria del fenomeno esclusivamente ricondotto alla sua matrice letteraria. In nove capitoli, inizia dalle influenze e suggestioni nel primo periodo di attività del sognatore di Providence, quindi lo sviluppo della sua mitologia artificiale in una prima fase, tra il 1917 e il ‘26, in cui le pseudo-divinità già fanno da sfondo per l’orrore cosmico; il sovrannaturale ancora gioca un certo ruolo e pseudobiblia quali il Necronomicon sono intesi come dei grimorî custodi di oscuri segreti stregoneschi, anziché le cosmologie o le adombrate cronache pre-umane, non sempre sistematizzate e coerenti, nelle quali tenderanno a trasformarsi in seguito.

Una seconda fase si ha con la pietra miliare di The Call of Cthulhu (1926) che definisce la de-mitizzazione definitiva di alieni umanamente percepiti come déi; lo spostamento più netto verso la fantascienza e una più vasta complessità di temi. Sempre e comunque, le storie utilizzano i “Miti di Lovecraft”così li chiama Joshi a distinzione dei travisamenti successivicome un palco su cui mettere in scena il vero dramma: la rivelazione di un universo impersonale e incomprensibile a sconvolgere ogni umana illusione di certezza.

Segue il capitolo sui contemporanei, fra i colleghi, a condividere e scambiare tali o simili mitologie di sfondo: C.A. Smith e R.E. Howard per lo più di rado e a modo proprio, altri considerando e riproducendone semplicemente i più superficiali aspetti. Fino alla nascita dei “Miti di Cthulhu” per come concepiti e diffusi da August Derleth, sulla base delle proprie convinzioni personali e religiose, e infine su equivoci e su fraintendimenti.

Derleth, sottolinea Joshi, aveva tutto il diritto di scrivere a suo modo una propria narrativa lovecraftiana, inserendovi elementi nuovi come il parallelismo cristiano della caduta dei “malvagi” Grandi Antichi, esiliati e tenuti a bada da una classe di benigni Dei Primigenî; con un massiccio uso di magie e talismani protettivi che non lasciassero l’umanità inerme in totale balia di tali potenze immani; con una proliferazione delle divinità e un loro adattamento a suddividersi in canonici spiriti elementali d’aria, fuoco, terra e acqua. E, sostanzialmente, rendendo questa mitologia demoniaca non più un simbolo di forze inconoscibili ma sola e vera protagonista al centro delle storie, ogni senso di meraviglia e orrore perduto fra genealogie impronunciabili quanto puntigliose e trite meccaniche d’azione coi “buoni” che affrontano i “cattivi”.

Il fatto è che, oltre a scriverla, questa concezione narrativa il fondatore dell’Arkham House la attribuì postuma allo stesso Lovecraft, stabilendone un valore come canone. E firmando “collaborazioni” che sono invece interamente suoi lavori, basati soltanto sui meri spunti delle note nel Commonplace Book, o costruiti su brevissimi frammenti lovecraftiani.

“... tutti i miei racconti, anche se possono sembrare non collegati fra loro, sono basati su di una leggenda fondamentale, secondo la quale questo mondo fu abitato un tempo da un’altra razza che, per aver praticato la magia nera, perse il suo dominio e venne scacciata, ma vive tuttora al di fuori, sempre pronta a prender possesso della Terra”.

Questa famosa frase attribuita a H.P. Lovecraft non appare in realtà in alcuno dei suoi scritti. L’intera citazione, unico supporto alla concezione derlethiana del “Mito,” proviene da una lettera del compositore Harold Farnese ad August Derleth (11 aprile 1937), nella quale il musicista ricostruiva a memoria quanto gli avrebbe scritto il gentiluomo del Rhode Island nel periodo della loro corrispondenza.

Ma quella, nel frattempo, era l’ottica in cui l’Arkham House stava presentando al mondo l’opera – nonché la complessa personalità – di Lovecraft, fino alla sua massiccia diffusione nei formati tascabili usciti su licenza. Il modello di riferimento per gli acritici appassionati come per i continuatori e gli imitatori innumerevoli, sin agli anni 70 e ancora oltre.

Il saggio prosegue quindi con il passare in rassegna critica gli esempi significativi nella sterminata letteratura dei Cthulhu Mythos, nei vari periodi sino ai nostri giorni, senza pretese di completezza e dichiaratamente tralasciando “il peggio” della formula ripetuta in copia sterile. Soffermandosi, piuttosto, sulle voci più originali che dalla vena lovecraftiana hanno saputo trarre un nuovo apporto, trovando vie del tutto personali da percorrere.

Un influsso creativo senza precedenti, ancor vitale dopo tre quarti di secolo e legato a un’intera tematica anziché, come prima accaduto, a un personaggio – si pensi per esempio a Sherlock Holmes. Esaminarne motivazioni e meccanismi richiederebbe interi altri volumi. Questo, a riassumerne obiettivamente la storia, le origini e l’evoluzione, è il punto di partenza.

The Rise and Fall of the Cthulhu Mythos
S.T. Joshi
Mythos Books, 2008
rilegato, 308 pagine, US $ 40,00
ISBN 0-9789911-8-4

giovedì 19 marzo 2009

Rampicante (Hederae Sicarius). Un corto animato da Ambrose Bierce


Realizzato nel 2006 come saggio di diploma presso il Dipartimento Animazione del Centro Sperimentale di Cinematografia – Scuola Nazionale di Cinema, Sede del Piemonte – per una volta tanto proviene dall’Italia una piccola gemma del fantastico in animazione digitale, premiata e selezionata in vari festival nazionali e all'estero.

Rampicante (Hederae Sicarius) è un cortometraggio di Laura Guandalini, Ernesto Mandara e Chiara Porri liberamente tratto da A Vine on a House, breve racconto nero di Ambrose Bierce apparso nel 1905 sulla rivista newyorkese Cosmopolitan, varie volte tradotto in italiano come “Un rampicante su una casa” e reperibile nelle raccolte I racconti (Theoria, 1994), Tutti i racconti dell’orrore (Newton & Compton, 1994) e Tutti i racconti vol. 1 (Fanucci, 2005).

Se al corto manca forse la reticenza rarefatta e sarcastica di Bierce, dello scrittore americano si amplifica anzi la beffarda quanto amara “cattiveria,” portando a estreme conseguenze una vendetta weird horror che il referente letterario suggerisce appena, con la storia che si sposta, del tutto priva di dialogo, entro il quadro moderno di una crescente, esaperata insofferenza reciproca nel rapporto di coppia.

Più “bierceiano” quindi dell’originale, coniugando buona scrittura e ottima resa grafica 3D, il video di quattro minuti e mezzo circa è al momento visionabile in rete sia su DailyMotion che su YouTube.




martedì 17 marzo 2009

Harry O. Morris. La realtà è un collage d’incubi



Celebrato illustratore e protagonista della piccola ma agguerrita editoria americana del fantastico, scovare una qualunque nota biografica su Harry O. Morris appare tuttavia un’impresa disperata. Le pagine dedicategli nel recente art book tematico A Lovecraft Retrospective (2008), fra le poche informazioni disponibili, rivelano come il suo interesse verso l’immaginario horror sia iniziato nell’infanzia, tra la fine degli anni 50 e l’inizio del successivo decennio frequentando le proiezioni dei B-movies nei cinema di Albuquerque, la città del Nuovo Messico in cui tuttora vive. E ancora frequenta le prime classi delle medie quando si accende la sua passione letteraria verso il genere, nel 1964, con la scoperta di un tascabile di H.P. Lovecraft.

Proprio come appassionato nella tripla veste amatoriale di editore, curatore e artista inizia nel 1970 a pubblicare Nyctalops, una tra le fanzines lovecraftiane più significative che si evolverà negli anni 80 in direzione di un weird radicalmente rinnovato; quello, per intenderci, di autori quali Thomas Ligotti che proprio sulla rivista fa il suo esordio. E con la Silver Scarab Press, minuscola casa editrice specializzata sorta dalle esperienze di Nyctalops, Ligotti pubblicherà il suo primo libro, quel Songs of a Dead Dreamer (1985) accompagnato in copertina e per gli interni dai collages fotografici di Morris.

Attratto dal surrealismo in maniera crescente dalla seconda metà dei 70, Harry Morris Jr. – come ai primi tempi si firmava – compone le proprie visioni cupe fra l’allucinatorio e l’angosciante dapprima con la tecnica del collage, riassemblando elementi estranei in nuove combinazioni d’incubo cui, nel corso degli anni, andrà a fondere il montaggio fotografico sino all’odierna elaborazione digitale.

Gallerie: spazio web ufficiale sul sito Gauntlet Press; illustrazioni interne per Songs of a Dead Dreamer e altre tavole ligottiane sulle pagine di Thomas Ligotti Online.

domenica 15 marzo 2009

Visiones. H.P. Lovecraft secondo Hernán Rodríguez


Non tutte le novità parlano necessariamente inglese, nel campo dei comics d’ispirazione lovecraftiana. Pubblicato nel 2008 dalla spagnola Norma Editorial, Visiones. H.P. Lovecraft raccoglie cinque storie dello scrittore di Providence rese in una libera versione a fumetti realizzata dal giovane disegnatore uruguaiano Hernán Rodríguez.

Poco interessato allo sviluppo dei cosiddetti “miti di Cthulhu,” così come al confronto con gli altri grandi autori, dai Breccia a Lalia, che in lingua spagnola già ne avevano affrontato più o meno fedelmente il tema, Rodríguez preferisce scegliere alcuni fra i primissimi racconti di Howard Phillips Lovecraft adattandoli a una propria visione personale. Scopo prefisso è quello di mantenerne la particolare atmosfera, pur variando punti di vista e personaggi nell’affidare la narrazione alle immagini.

Così la voce narrante in El extraño (The Outsider, 1921) visualizza insieme al lettore e sino in fondo la percezione che ha sé, aprendo l’albo con qualche tratto stilistico talora nell’ombra di Druillet. La música de Erich Zann (The Music of Erich Zann, 1921) affida alle fantasie grafiche evocate dalla protagonista – qui al femminile – l’eco suggestiva di una musica altrimenti indescrivibile. Due fratelli condividono l’esperienza, e le conseguenze, dell’arrivo del sinistro Nyarlatothep in una città quasi del tutto priva di colore (Nyarlatothep, 1920). Creati ex novo pure i personaggi che tragicamente si avventurano ne La ciudad sin nombre (The Nameless City, 1921), mentre nel conclusivo El templo (The Temple, 1920) maggiormente ci si accosta all’andamento del racconto originale.


“Sono sempre stato attratto dal tipo di storie che Lovecraft racconta, la miscela di terrore e fantasia, passaggi alieni e sogni d’incubo, tutto questo mi sembrava interessante da trattare in un fumetto”.

Nato in Argentina, a Buenos Aires il 20 maggio del 1980, Hernán Rodríguez Lapolla – questo il nome per esteso ha trascorso la propria vita in Uruguay compiendo e perfezionando gli studi d’arte fra il Sud America e l’Europa, fino al suo attuale trasferimento in Spagna nella città di Bacellona. Visiones, portato a termine dopo due anni di lavoro, rappresenta la sua prima completa pubblicazione personale.

Al momento, le tavole in buon formato leggibile di tutti e cinque i fumetti sono integralmente visionabili ovviamente in spagnolo sul sito web ufficiale dell’artista: www.kbz.com.uy/hr.

Visiones. H.P. Lovecraft
Hernán Rodríguez
Colección Made In Hell, Norma Editorial, 2008
brossura, stampa a colori, 80 pagine, Euro 12,00
ISBN 978-84-9847-351

giovedì 12 marzo 2009

The Dark Screen. Il mito di Dracula sul grande e piccolo schermo


Nessun personaggio, reale o di fantasia, ha conosciuto più trasposizioni sullo schermo – cinematografico o televisivo – del Conte Dracula. La creatura di Bram Stoker precede di gran lunga, in tale primato, Sherlock Holmes (insediato saldamente al secondo posto). Quali i motivi di un successo così clamoroso e longevo? Come si è evoluta la figura del Principe delle Tenebre dagli albori del cinema all’era degli effetti speciali? Qual è il filrouge che lega cineasti e interpreti tanto diversi tra loro, sconfinando nel musical, nel porno, nella pubblicità? The Dark Screen non è, attenzione, uno dei soliti libri di cinema, ricchi di foto e illustrazioni cucite insieme con un commento più o meno originale e corredate da un elenco di “schede” che oggi ogni fan può autonomamente (e gratuitamente) scaricarsi da Internet. Qui, il mito è analizzato nelle sue radici più remote e passato in rassegna in maniera completa e rigorosa, con competenza profonda e amore sviscerato, componendo un quadro di insieme probabilmente unico nell’ambito della saggistica su Dracula. Un’opera che affascina come un romanzo e che, nel contempo, fornisce allo studioso e al semplice appassionato una “summa” destinata a uscire dai confini nazionali e a proporsi come vera e propria pietra miliare nella lunga e variegata produzione letteraria dedicata al Signore dei Vampiri.”

Fin qui la nota editoriale sul risvolto di copertina del volume, conclusa certo in ottica promozionale assai più che illustrativa rispetto ai contenuti. Pure, questo corposo saggio firmato da Franco Pezzini e Angelica Tintori per la Gargoyle Books si rivela in effetti un vero monumento monografico, il più esteso e completo dedicato alla particolare figura del vampiro Dracula, mostro e seduttore a un tempo, attraverso il cinema, la televisione e lo spettacolo.

In oltre settecento pagine, The Dark Screen. Il mito di Dracula sul grande e piccolo schermo si concede tutto lo spazio e il tempo necessari per esaminare a fondo il personaggio, e il suo mutarsi in icona popolare, partendo dalle radici letterarie nel romanzo di Bram Stoker, pubblicato nel 1897, a percorrerne la rappresentazione – fra adattamento, citazione, parodia e reinvenzione – dal palcoscenico alla celluloide sino agli schermi TV, secondo le istanze e la lettura simbolica dei propri tempi in oltre un secolo d’inestinta, anzi intensamente attiva “non-morte”.

Una visione critica felicemente integrata da un vivace approccio descrittivo, fra sinossi e riassunto visuale nei dettagli, passo a passo rievocando i tratti salienti di opere non sempre o necessariamente note, né altrimenti accessibili a chi legge, appassionato o meno di tal genere.

Il libro, aperto da un’introduzione del critico cinematografico Alberto Farina, correda i propri diciotto capitoli con un buon apparato di note e con l’indispensabile quanto dettagliato indice dei titoli citati, a precedere la bibliografia conclusiva. Sedici tavole commentate e illustrate fuori testo raccolgono invece una consistente iconografia tra foto di scena e inquadrature, a colori e in un bianco e nero anticato in toni ambrati.

Di Franco Pezzini, nome noto e ricorrente fra i più seri studi critici sul fantastico nella letteratura e nel cinema, sono da ricordare i precedenti altri saggi “vampirici” Cercando Carmilla. La leggenda della donna vampira (Ananke, 2000) e, scritto con Arianna Conti, Le vampire. Crimini e misfatti delle succhiasangue da Carmilla a Van Helsing (Castelvecchi, 2005). Di Angelica Tintori sono Michael Crichton – Medici, dinosauri & Co. (PuntoZero, 2000) e Star Trek: uno specchio dell’America (Delos Books, 2004).

The Dark Screen
Il mito di Dracula sul grande e piccolo schermo

Franco Pezzini e Angelica Tintori
Gargoyle Books, 2008
Rilegato, 16 tav. illustrate fuori testo, 702 pagine, Euro 19,00
ISBN 978-88-89541-28-9

venerdì 6 marzo 2009

Franciszek Starowieyski, 1930-2009



Nome leggendario dell’illustrazione polacca, principalmente legato alle locandine teatrali e cinematografiche realizzate in patria a partire dai primi anni 60, Franciszek Starowieyski è morto quasi ottantanovenne a Varsavia il 23 febbraio scorso.

Nato l’8 luglio del 1930 a Bratkówka, nel sud della Polonia, Franciszek Andrzej Bobola Biberstein-Starowieyski frequenta l’Accademia di Belle Arti a Cracovia, quindi successivamente a Varsavia dove si laurea nel 1955. Talora firmandosi con lo pseudonimo di Jan Byk, le sue attività spaziano dal disegno alla grafica, la calligrafia e la stampa, dalla pittura murale sino alla scenografia mentre i suoi lavori trovano esposizione in ogni parte del mondo, compresa la Biennale di Venezia nel 1986.

Collezionista d’arte e affascinato dal Diciassettesimo secolo, tanto da pre-datare le proprie opere di trecento anni in omaggio al periodo a lui congeniale, Starowieyski coltiva un’immaginazione fantastica e barocca che unisce visione surrealista e riferimenti seicenteschi, sensualità e humor grottesco. Armonizzando, inoltre, immagine e scrittura ornamentale, curata ben oltre la stretta necessità del poster se non a integrazione delle figure stesse.

“Voglio creare un mondo che sia indipendente dalla nostra nozione di umanità,” confessava l’artista. “Voglio raggiungere una terza dimensione attraverso gli stati d’animo spirituali delle mie immagini”.

Gallerie: rassegna dei manifesti teatrali e cinematografici su Polish Poster Gallery, PolishPoster.com e CinemaPoster.com .