lunedì 29 dicembre 2008

L’avventura londinese o l’arte del vagabondaggio


“«L’avventura londinese o l’arte del vagabondaggio» ci propone una disciplina inconsueta, che utilizzando il «wandering» come vettore direzionale esplora la grande città alla ricerca delle antiche radici, affidandosi esclusivamente alle possibili confluenze dei tanti itinerari che incidono profondamente il tessuto metropolitano londinese. E così, se in senso spaziale Arthur Machen ci conduce lungo percorsi che si snodano attraverso luoghi periferici o apparentemente secondari o legati a vicende e personaggi della letteratura, in senso temporale il wandering scavalca il suo presente per spingersi tra ricordi e divagazioni, facendo convergere i diversi piani narrativi in lunghe digressioni che coinvolgono varie discipline: dall’architettura alla teologia, dalla critica letteraria alla storia ecclesiastica. E d’altra parte le digressioni che animano questo magistrale lavoro su Londra rappresentano anche il mezzo con il quale Machen può illustrare quella convinzione secondo la quale il mondo non è come sembra, e che dietro gli eventi quotidiani e gli oggetti comuni vi sia un segreto che è la chiave del grande enigma dell’esistenza dell’uomo. Arthur Machen è l’artista del prodigioso, il creatore di qualcosa al di là della vita e al di fuori del tempo”.

Ultimo dei tre volumi autobiografici di Arthur Machen dopo Far Off Things (1922) e Things Near and Far (1923), inediti in Italia, The London Adventure or the Art of Wandering (1924) è forse della trilogia il più affascinante, quasi romanzesco, mischiando ancora racconti – talora parziali o reticenti – della propria vita e carriera letteraria personale a spunti saggistici, cronache e aneddoti, ma facendo qui del vagare, come del divagare, un’arte. L’arte del “vagabondaggio,” appunto, in una Londra tra Otto e Novecento i percorsi della quale sembrano intessersi in una qualche strana metafisica dello sviluppo urbano; cenni di un mondo “altro” celato appena sotto la superficie delle cose. L’arte della divagazione, infine, consueta nello scrittore gallese, come a deviare per ogni traversa amena o altra destinazione interessante lungo il tragitto che ci viene illustrato passeggiando.

Un percorso d’architetture più grandiose di quanto mai sia possibile porre per iscritto, almeno nella percezione dell’autore che ben altro libro dal titolo di The London Adventure da subito confessa avrebbe voluto scrivere, dandocene invece un quadro indiretto in questo suo volume. Un libro nel libro per chi, come a suo tempo scrisse in Far Off Things, fa sogni di fuoco e si trova a lavorare con l’argilla. “One dreams in fire and works in clay”.

Tradotto da Franco Basso, L’avventura londinese o l’arte del vagabondaggio ritorna in libreria per i tipi dell’editore milanese Tranchida dopo una prima pubblicazione nel 1986, allora con la doppia firma di Basso insieme a Stefano Giusti sia per la cura che per la traduzione. L’edizione seguente del 1998, la stessa riproposta due anni dopo e ora qui per la presente uscita, sostituisce la breve prefazione di entrambi i curatori con l’attuale postfazione di Franco Basso, in cui si parla di “questa nuova traduzione” benché il testo appaia senza variazioni.

Stessa versione, appunto, mantenendo un utile apparato di note esplicative ma pure conservando, mai corretta negli anni, qualche svista... sino all’ironia involontaria di scambiare uno stato d’animo per una carrozza.

C’è una parola inusuale che ricorre, intradotta, nel quarto capitolo. A pagina 93, dove si legge “Tornai a Reigate in un dwam, come dicono in Scozia, senza sapere se mi reggevo sulla testa o sui piedi” (nell’originale, I drove back to Reigate in a “dwam,” as the Scots say; really not knowing wheter I stood on my head or my heels), e a pag. 94: “Andai a casa in quel dwam chiedendomi cosa avrei dovuto fare e infine scrissi la storia proprio come era successa” (di nuovo fra virgolette, I went home in that “dwam” and wondered what on hearth I was to do, and at least wrote the whole, true story, just as it happened). Alla nota numero 44 viene affidato quindi il compito chiarificatorio della definizione; “Dwam: tipo di carrozza scoperta usata in Scozia”.

Non è la prima volta che Machen adopera questa parola scozzese nei suoi scritti, la si incontra per esempio nel racconto breve Dr. Duthoit’s Vision, del 1921. E di sicuro non appare sui più diffusi dizionari ma, testimone fra gli altri un interessante articolo dello Scots Language Centre, “dwam” descrive piuttosto uno stato di “sogno a occhi aperti,” di stupore o rapimento estatico. A suo modo un “trasporto,” in effetti, ma non certo fisico né a trazione equina.

Divagazioni a parte, irresistibili di fronte a un’opera capace di tesserne un intero arazzo senza mai perdere il filo o disperderne la trama, la ristampa de L’avventura londinese è un’ottima occasione di lettura – o rilettura – d'uno scrittore legato finora soltanto ai generi del fantastico, o al più all’estetica decadente e mistica fra i due scorsi secoli. Un interesse italiano che sembra finalmente rinnovarsi, confermandosi con questa terza uscita macheniana in solo anno dopo Gli Arcieri e altre leggende di guerra - Il Terrore (Miraviglia, 2008) e Il segreto del Graal (Liberamente, 2008), con una riedizione – o ristampa – de La collina dei sogni che si annuncia in prossimo arrivo ancora presso Liberamente Editore.

Di Franco Basso è anche la versione dei nove racconti di Arthur Machen raccolti in Oltre la soglia, un volumetto tascabile pubblicato da Tranchida nel 1993 ma tuttora disponibile.


“It is possible, just dimly possible, that the real pattern and scheme of life is not in the least apparent on the outward surface of things, which is the world of common sense, and rationalism, and reasoned deductions; but rather lurks, half hidden, only apparent in certain rare lights, and then only to the prepared eye; a secret pattern, an ornament which seems to have but little relation or none at all to the obvious scheme of the universe”.
(The London Adventure, I ed. Martin Seker, London 1924; Chapter I, pag. 21)


“È possibile, oscuramente possibile, che il vero schema e tracciato della vita non appaia nell’aspetto esteriore delle cose, che è il mondo del buon senso, del razionalismo, delle deduzioni ragionate, ma piuttosto affiori, seminascosto, visibile unicamente in certe rare illuminazioni e solo a un occhio preparato; un tracciato segreto, un ornamento che sembra soltanto avere una piccola relazione o nessuna del tutto con l’ovvio schema dell’universo”.
(L’avventura londinese, Capitolo I, pag. 21, traduzione di Franco Basso)


L’avventura londinese o l’arte del vagabondaggio
Arthur Machen
Collana Le voci, Giovanni Tranchida Editore, 2008
rilegato, 134 pagine, Euro 14,50
ISBN 9788880033226


martedì 23 dicembre 2008

Le icone surreali di Jeroen van Valkenburg



Nato nel 1973 a Leida, città ove risiede e lavora, il pittore olandese Jeroen van Valkenburg trae ispirazione dagli antichi miti e dalle saghe incontrate nel corso dei propri studi in archeologia presso l’Università di Leida, in special modo le storie dell’epoca vichinga fra il IX e l’XI secolo, principalmente interessandosi agli aspetti mistici e religiosi di tale cultura.

Autore di diverse copertine discografiche, soprattutto in ambito metal per band come Bal-Sagoth e Stalaggh, i suoi dipinti a olio su tela si possono talvolta intendere, sempre secondo la nota biografica dell’artista, come “icone di divinità da tempo dimenticate.” Figure surreali a trascendere in forme fantastiche l’umano, alternate o fuse a vivi paesaggi alieni animati in densi e quasi monocromatici giochi di luce.

Gallerie: sito ufficiale jeroenvanvalkenburg.exto.nl; pagina dedicata in Surrealism Now; spazio personale su MySpace.




sabato 20 dicembre 2008

De Vermis Mysteriis (2006), corto con tentacoli


“Basato sulle storie H.P. Lovecraft, e sulla sua idea che l’esistenza sia cosa incomprensibile per le menti umane, in un universo fondamentalmente alieno”.

Il cortometraggio De Vermis Mysteriis è stato realizzato nel 2006 dal polacco Kacper Królak, manager informatico con una netta passione per la cinematografia e alcuni brevissimi film già al proprio attivo, girati in Polonia con il marchio di Kopiart Movie Studio.

Il filmato dura poco più di tre minuti ed è stato scritto, diretto e interpretato dallo stesso Królak, pure autore delle scenografie e del montaggio, con la fotografia pesantemente virata in seppia di Paweł Królak e su musiche di Dominik Bryński. Qui sottotitolato in inglese, il corto parrebbe non distaccarsi molto dai tanti brevi film amatoriali diffusi a tema lovecraftiano, illustrando il procedere di un’oscura evocazione dal citato “libro maledetto” di cui si leggono stralci. Se non che... qualcosa alla fine arriva per davvero.

Nota: YouTube ha nel frattempo disabilitato la funzione d’incorporamento del video su altre pagine, il quadro sottostante collega pertanto direttamente al suo contesto originale.


martedì 16 dicembre 2008

Idee regalo cthuloidi per le feste di Mezzo Inverno


In un periodo particolarmente demenziale, e con le festività coatte del Solstizio d’Inverno ormai alla porta, non c’è blog serioso che tenga: qualcosa di scemo da postare prima o poi ci scappa. Per esempio, qualche classica ed estremamente improbabile “idea regalo cthuloide dell’ultimo minuto”.

Da almeno un quarto di secolo i veterani “mitologi di Cthulhu” sanno che da un mercato onnipervasivo possono attendersi di tutto, compresa la mercificazione d’improponibili manufatti e ammennicoli in precedenza concepiti solo per parodia e spirito goliardico. I più diversi gadget di carattere, ispirazione o derivazione lovecraftiani sono ora all’ordine del giorno: divertite quanto oramai comuni particolarità di nicchia, fra l’oggettistica quotidiana e i giocattoli con invasione di articoli e accessori Toy Vault di peluches, da “Cthulhu Babbo Natale” a un “Elvis Cthulhu” completo di ciuffo rockabilly e microfono, sino alle pantofole, i marsupi e via elencando.

Gli articoli illustrati a seguito – le immagini sono ridotte ma si aprono a maggior dimensione cliccandoci sopra – costituiscono un reale per quanto eccentrico campionario: tutti diffusi o commercializzati in rete, oppure comunque apparsi in inserzioni su aste online. Nessun serio cultista cthuliano dovrebbe farne a meno, a rischio della propria già compromessa sanità mentale.

Per iniziare dall’esempio quasi più serio, “Il case per computer che non dev’essere nominato” era apparso in rete già qualche anno fa. The Case That Must Not Be Named non ha un aspetto eccessivamente rassicurante mentre vi guarda di sbieco fra luminescenze verdastre, simboli arcani, tentacoli sporgenti e una bocca dentata che ne ospita l'interuttore. Non è dato sapere se monti un “coprocessore mistico” in luogo del solito coprocessore matematico.

Le solite sfere e pallette multicolori del vostro albero di Natale non hanno abbastanza vivacità né pseudopodi? Ecco la soluzione con le tentacolari decorazioni natalizie a forma di testa cthuliana, realizzate in feltro in un classico “verde melma di R’lyeh” con trucemente aggrottati occhi color bacca d’agrifoglio. Trentanove dollari l’uno per questi Cthulhu tree ornaments da appendere ai rami dell'abete, ma che volete che sia per una intensa notte di Natale a Innsmouth…

In caso di veglia sotto l’albero, appare d’obbligo l’uso di un’adeguata luminaria… ecco quindi “la candela votiva di Cthulhu,” adatta a ogni tipo di cerimonia e scontata a nove dollari e novantanove sul sito web di vendita, che non a caso si chiama Kthulhu Kitsch. E già che eravamo a Innsmouth, i ceri della durata di sei giorni risultano pure disponibili nella versione Deep Ones o “abitatori del profondo”.

Per arrostire i würstel sulla brace (senza troppo indagare circa la provenienza del ripieno e la recente scomparsa di alcuni vostri ospiti), niente di meglio dell’apposito Cthulhu weenie roaster in acciaio inossidabile. Sborsando trentacinque dollari più spese, potrete munire di salsicciotti a tentacolo la capoccia metallica della nostra più affezionata pseudodivinità in effigie, infilzandoli sugli appositi spiedini.

Dovesse proprio far freddo, o fosse il caso di non esibire in pubblico gli ittici segni caratteristici delle proprie ascendenze familiari dalla summenzionata e ridente località costiera del New England, ci si può sempre munire di un buon passamontagna. Questa elegante Cthulhu ski mask non è in commercio, il modello per realizzarlo è tuttavia diffuso presso un sito specializzato nei lavori a maglia. Il quale però richiede un’iscrizione per l’accesso.

Non manca l’intimo specializzato per cultori del Necronomicon, i quali devono avere una propria particolare idea di “sesso sicuro” piazzando su tale zona anatomica nientemeno che un diagramma protettivo degli Antichi. Il magico sigillo è disponibile a dodici dollari su due modelli di “nereria” (visto il colore) per signora, e a quattordici per il boxer maschile. Lo slogan del marchio di Elder’s Wear: “Because you don’t want shoggoths in your pants”.

Apparso in vendita parecchio tempo fa su un noto sito d’aste, il capo qui a fianco veniva descritto come “scalda-vibromassaggiatore anatomico fatto a maglia, tanto per stare nella stretta terminologia italiana dell’innocuo. Questo Cthulhu dildo warmer (ma qui per fortuna nessuno sa l’inglese, giusto?) è realizzato in filato 100% acrilico per chi avesse qualche problema di allergia alla lana, visto che un uso suggerito è quello di “tenere al caldo il tentacolo.”

Infine un colpo di genio, proveniente anch’esso dalle medesime aste in rete. Un sollievo alla tormentata vita del praticante d’arti oscure: la tavoletta copri water del Necronomicon, con sopra pirografato l’originale sigillo protettivo. Nessuno immagina quali orrori dall’abisso mai possa temere chi adoperi un tale manufatto. Comunqueper quanto sia abusata la battutamai prendere così alla lettera chi vi dica che “qui in giro ci son stronzi che praticano magia nera”.


venerdì 12 dicembre 2008

Eric Lacombe, “Monstror”



Lo incontriamo con il nickname di Monstror presso diverse comunità artistiche in rete, da DeviantArt a CG Gallery. Eric Lacombe vive a Lione, in Francia, ove conduce un proprio studio grafico… e questo è più o meno tutto ciò che lascia trapelare di sé attraverso il web. Un’estrema riservatezza estesa anche al suo lavoro, fino alla scelta di non imporre titolo alcuno alle opere. “Preferisco lasciare che la gente immagini da sé, piuttosto che spiegare quel che non sarei veramente in grado spiegare,” scrive l’artista in un commento.

Pittura e disegno trovano integrazione con il fotoritocco e le tecniche dell’arte digitale, in immagini che spesso trasfigurano il ritratto umano in surreale, inesprimibile e quasi disperata estraneità; percezione di una realtà inevadibile e, tanto più, angosciante. Visioni incupite nella più minima intensità del colore, alterate quasi a fondere soggetto e sfondo in essenza; le forme dell’organico ricombinate e unite a quelle dell’inerte.

Nota a margine: che la realtà sia in ogni accezione orribilmente “inevadibile” lo testimonia il vocabolario italiano, nel quale il termine ufficialmente non esiste. Dall’essere alieni in un mondo alieno, non si fugge.

Gallerie: blog ufficiale www.monstror.blogspot.com; pagine dedicate in DeviantArt e su CG Gallery; spazio personale su MySpace.


martedì 9 dicembre 2008

Nero Natale


Il Natale, d’abitudine, è bianco: abbacinante è la coltre di neve che ricopre il paesaggio, un candore che dovrebbe rispecchiare la predisposizione dell’anima al bene. Eppure, chissà come mai, proprio nel giorno in cui dovremmo essere più buoni, il delitto trionfa, la rapina a mano armata furoreggia e le famiglie trovano motivo di lite selvaggia intorno a un panettone mal tagliato. Così «Nero Natale» metterà sotto il vostro albero nove racconti esemplari dal giallo al thriller, dalla commedia nera al grottesco macabro – in cui i doni saranno rappresentati da furti e omicidi, crimini efferati e strani misteri, che renderanno l’attesa ancora più ricca di suspense. Da Hawthorne ad Amelia Edwards, da Stevenson a Pascoli, da Frank L. Baum – autore del «Mago di Oz» – a Conan Doyle, da Saki ad Agatha Christie e Lovecraft: nove storie da brivido per smentire che a Natale si debba essere davvero buoni.

Natale “nero” per molti versi, a parte la generale atmosfera. Nero anche a proposito della presente antologia, che pur proponendo opere brevi in buona parte palesemente fantastiche e d’orrore, evita accuratamente di nominare i due “aborriti generi” sottolineando piuttosto i soli richiami al giallo e al thriller, appunto, o tuttalpiù al macabro, come a rassicurare il generico lettore – e l’auspicabile casuale acquirente natalizio – circa la dignità culturale dei contenuti: non sia mai che andiamo a mischiare Pascoli con l’horror!

Nero Natale. Nove racconti da brivido esce con evidente tempismo a proporsi come libro strenna, confermando un paio di tendenze editoriali squisitamente italiane: rendere i temi del brivido e del terrore come appannaggio di tutt’altre più o meno nobilitate tradizioni letterarie rispetto a quelle cui appartengono, e ristampare a oltranza solo i più sicuri fra i classici – tutti rigorosamente fuori copyright, non più recenti dei primi anni 20 – con minimo impegno ad aggiungere uno o due nuovi ingredienti per volta alla minestra, tanto per concedere qualcosa a chi del tutto a digiuno non sia di tal cucina.

Vari traduttori, tra i quali il curatore stesso Luca Scarlini che pure firma la lunga introduzione, si alternano nelle versioni dall’inglese, diverse delle quali provengono da edizioni italiane precedenti. Salvo il racconto per ragazzi di Baum, tuttavia ultimamente apparso su rivista e web, il solo altro titolo del tutto inedito e decisamente appetibile per gli appassionati è L'espresso delle 16.15, una ghost story vittoriana di Amelia Ann Blanford Edwards.

Curioso anche l’unico inserto italiano con la novella breve del Pascoli Il ceppo, omonima ma assai meno conosciuta della sua poesia in Myricae. Nessun altro guizzo di originalità per il resto, comprendente un ormai culturalmente “sdoganato” Lovecraft, e una rappresentanza del giallo più tradizionale con episodi in tema dello Sherlock Holmes di Conan Doyle e del Poirot della Christie.

Pure non sono mancate, nel passato, raccolte tematiche ben più corpose e consistenti per la narrativa breve “del brivido” in ambientazione natalizia, dalle sfumature in vena maggiormente noir e thriller di Delitti di Natale (Editori Riuniti, 1983), versione italiana del volume The Twelve Frights of Christmas a cura di Waugh, Greenberg e Asimov, fino alla selezione fantastica, fantascientifica e horror di Marzio Tosello per Un fantastico Natale. 31 Natali alieni (Mondadori, 1988).

A parte i due terzi di sostanziali ristampe, non aiutano troppo nemmeno i sedici Euro del prezzo per una brossura, per quanto a copertina cartonata, con meno di duecento pagine di testo. Ma le formalità del 25 dicembre incombono; come dicono i cannibali “le persone diventano più buone,” e un volumetto di classici con “Natale” nel titolo torna sempre bene per i regali dell’ultimissimo minuto.

I racconti:
Nathaniel Hawthorne, Il banchetto di Natale (The Christmas Banquet, 1854 [in realtà 1846])
Amelia B. Edwards, L’espresso delle 16.15 (The Four-Fifteen Express, 1867)
Robert Louis Stevenson, Markheim (1885)
Giovanni Pascoli, Il ceppo (1905)
Frank L. Baum, Il rapimento di Babbo Natale (A Kidnapped Santa Claus, 1904)
Arthur Conan Doyle, L’avventura del carbonchio azzurro (The Adventure of the Blue Carbuncle, 1887)
Saki, I lupi di Cernogratz (The Wolves of Cernogratz, 1919 [1913])
Agatha Christie, L’avventura del dolce di Natale (The Adventure of the Christmas Pudding, 1961 [1960])
Howard Phillips Lovecraft, La ricorrenza (The Festival, 1923)


Nero Natale. Nove racconti da brivido
aa.vv.
a cura di Luca Scarlini
collana Einaudi Tascabili. Biblioteca, Einaudi, 2008
brossura, copertina cartonata, XVI-196 pagine, Euro 16,00
ISBN 8806194992

venerdì 5 dicembre 2008

Piombo: i versi di George Bacovia


“4. Piombo (Plumb), di George Bacovia. Poemi da unarretrata città romena in cui la stagione è o autunno o inverno, il tempo del giorno è il crepuscolo, l’atmosfera densa di melanconia o d’ansia, i parchi e le vie sono deserti, stanze claustrofobiche si affacciano su mattatoi e cimiteri, e sempre c’è da seguire un funerale. Qualche titlolo: «Vespro autunnale,» «Vespro invernale,» «Vespro violetto,» «Nero,» «Grigio» e «Vespro antico».”

A firmare questa laconica descrizione è lo scrittore americano Thomas Ligotti, nell’elencare la raccolta dei versi di Bacovia fra i dieci classici della poesia macabra e orrifica di sempre secondo una propria “classifica” personale, Thomas Ligotti’s Ten Classics of Horror Poetry, appositamente compilata per il recentissimo omnibus tematico The Book of Lists: Horror (Harper, 2008). Un omaggio forse persino imbarazzante per certa “accademia” provenendo dal mondo della letteratura di genere; segno tuttavia di quanto l’opera del poeta simbolista romeno, immaginifica e cupa, risulti attuale e incisiva anche attraverso la propria diffusione in lingua inglese.

George Andone Vasiliu, tale il vero nome di George Bacovia, nasce nel 1881 a Bacău nell’est della Romania. Laureato in legge senza mai esercitare la professione di avvocato, vive come impiegato e talvolta insegnante di calligrafia e disegno, trascorrendo gran parte della propria esistenza a Bucarest sino alla morte nel 1957. Del 1916 il suo primo volume Piombo (Plumb), seguito da cinque altre raccolte: Scântei galbene [letteralmente, “Faville gialle”] nel 1926; Cu voi [“Con voi”] nel ‘30; Comedii în fond [“Commedie in fondo”] nel ‘36; Stanţe burgheze [“Stanze borghesi”] nel ‘46 e Poezii [“Poesie”] infine nel 1956.

Presto influenzato dai simbolisti francesi, nell’aura dei “poeti maledetti” da Poe a Baudelaire, Verlaine e Maurice Rollinat, i suoi versi brevi, concisi e frammentati tra sospensioni e stacchi, incidono paesaggi crepuscolari di desolazione; dipingono malinconie, solitudini e angosce sulle tavole cromatiche del nero e grigio, con rari tocchi di colore come a più tragico, netto contrappunto. Non filtra luminosità né calore in questa realtà funerea, erosa da un’entropia senza speranze, opprimente come una prospettiva di carceri piranesiane da cui nemmeno il pensiero della morte lascia evadere.

Qui da noi ancora scarsamente conosciuto, soltanto alcune fra le poesie di Bacovia erano sinora tradotte e diffuse in sparse antologie di romenistica, mentre un’edizione bilingue di Piombo era apparsa più di trent’anni fa come Plumb / Piombo, data alle stampe in Romania con versione italiana di Mariano Baffi (Minerva, Bucarest 1976) e ormai introvabile al di fuori delle biblioteche. Scarsa se non assente perfino su web ogni presenza e documentazione in proposito, nella nostra lingua, salvo rari interventi come quelli di Flavio Pettinari sulle proprie pagine, e Ian Delacroix per Il Cancello.

Novità dello scorso ottobre, per la prima volta in Italia un’antologia interamente dedicata a George Bacovia giunge finalmente dalla piccola editrice romana Fermenti.

Piombo. Versi / Plumb. Versuri è un volumetto di centoventi pagine che affianca i testi in lingua originale a quelli in italiano, con oltre un’ottantina di versi scelti dall’opera complessiva del poeta – non solamente, quindi, dal suo libro d’esordio, come il titolo avrebbe potuto suggerire. Pubblicata con il contributo della Fondazione Marino Piazzolla, la raccolta viene curata e tradotta dall’italianista romeno Geo Vasile che pure ne firma il saggio introduttivo.

“Questa parsimoniosa selezione dall’opera del più attuale tra gli interbellici romeni, cioè George Bacovia (1881-1957) si rivolge prima di tutto al lettore italofono, meno interessato dei dettagli storico-letterari, curioso piuttosto di capire il messaggio poetico e profetico di una sincopata ma longeva parabola moderna al cospetto della postmodernità, romena ed insieme europea. La selezione offerta dal sottoscritto non ebbe modo di evitare un certo soggettivismo del lettore, nonché del traduttore, anche se sempre attento al valore estetico del testo, alla sua forza di rappresentare pars pro toto il Bacovia delle tappe percorse a partire dal volume Piombo (1916) fino a Stanze borghesi (1946), ma anche il poeta della partitura unica, chiaroveggente, di grande impatto per la poesia romena tanto negli ultimi tre decenni del ventesimo secolo, che adesso, a 50 anni dalla sua morte”.

L’introduzione, di cui sopra si riportava l’incipit, prosegue rendendosi forse più sonoramente specialistica in tono di quanto un primissimo approccio italiano all’autore avrebbe richiesto, perlomeno presso il medio lettore “curioso” cui tendeva inizialmente a rivolgersi, affidando alla seguente cronologia bio-bibliografica ogni principale elemento informativo circa la vita e le attività del poeta.

Puntuali le traduzioni, nel rispetto del ritmo come finanche della rima; persino meticolose all’eccesso nel ricercare una corrispondenza di termini che, per quanto tecnicamente esatta, suona a volte meno felice di altre scelte possibili, nell’italiano, tradendo magari la lettera in favore del senso. Mancano poi precisi riferimenti a data e provenienza di ogni singolo titolo, ben che forse non indispensabili in contesto divulgativo, né viene segnalato il caso di proposta non integrale del componimento.

A seguito un esempio significativo dai versi di George Bacovia, quasi a visione di un ultimo, definitivo “confrontarsi col nulla.” Si tratta della parte I della poesia Sic transit, tratta dal volume sempre nella versione di Geo Vasile.


Attesa e necessaria iniziativa editoriale, l’uscita segna anche nel nostro paese, in endemico ritardo, il punto d’inizio per una diffusione più ampia e un migliore apprezzamento della poetica bacoviana. Certo di enorme interesse, per tematica, visione e approccio se non altro, pure nell’ambito letterario gotico e fantastico.

Piombo. Versi / Plumb. Versuri
George Bacovia
Collana Nuovi Fermenti/Letteratura internazionale, Fermenti Editrice, 2008
brossura, 120 pagine, Euro 10,00
ISBN 978-88-89934-55-5

martedì 2 dicembre 2008

David Senecal e i “modelli” di Pickman




Vive a Columbus, nell’Ohio, il trentaduenne illustratore americano David Senecal. Le sue tavole pittoriche e digitali trovano sovente sbocco nel fantastico esplorando, tra i temi favoriti, i complessi rapporti fra l’umano e il tecnologico, per toccare non di rado l’horror e la letteratura lovecraftiana.

Particolarmente affini, in questo caso, al repertorio artistico di Richard Upton Pickman, il pittore protagonista del racconto di H.P. Lovecraft Il modello di Pickman. Dave Senecal si trova così a dare vivida espressione ad alcuni fra i più sinistri “quadri” del personaggio, sulla base del loro titolo, degli spunti e dei soggetti per come descritti nella storia: i ghouls urbani ritratti “dal vero” nelle irriferibili attività sotterranee de “La lezione” (The Lesson) o di “Incidente nella metropolitana” (Subway Accident), entrambi qui sopra presentati.

Le sue opere in tal senso si ritrovano in pubblicazioni come quelle di Chaosium, tra il ludico e il narrativo, e di altri editori specializzati quali Elder Sign Press, per cui ha realizzato le copertine di Book of Dark Wisdom #4 (2004) e Hardboiled Cthulhu (2006).

Gallerie: spazio web personale in DeviantArt e su Epilogue; pagina tematica lovecraftiana per The Temple of Dagon.