giovedì 30 aprile 2009

Attualità del messaggio Yithiano


Registrate dalla HPLHS in un tratto e in un contesto imprecisati nel continuum spazio-temporale del 2006, le parole del rappresentante Yithiano non hanno bisogno alcuno di commenti. Impossibile trovarsi in disaccordo con le forti, inoppugnabili argomentazioni del discorso per quanto almeno asserito nella prima parte del video, quella che più d’appresso tutti ci riguarda.

Difficile, d’altronde, dar torto a un esponente della Grande Razza di Yith che, ovunque trasferendosi nel tempo e nello spazio con la tecnica dello scambio mentale, già sa invariabilmente come tutto – o quasi tutto – andrà a finire.

Un messaggio che non resterà dunque inascoltato, nonostante certe asprezze dell’esposizione necessarie, tuttavia, nell’evitare fraintendimenti d’alcun tipo. Per quanto, come si ammicca appunto in conclusione d’intervento, il caos dell’universo non vada preso poi troppo sul serio nell’affannarsi incontro all’entropia.




lunedì 27 aprile 2009

Fabrice Lavollay, “fra il sogno e l’incubo”



Nato a Parigi nel 1969, Fabrice Lavollay si trasferisce in Belgio nel 1991 per frequentare gli studi d’arte visiva presso l’Ecole Supérieure des Arts Saint-Luc, a Bruxelles. Designer grafico, ex direttore artistico, in Francia, del bimestrale Science-Fiction Magazine, l’artista è soprattutto attivo come illustratore per diverse riviste quali Elegy, Inside Art, Cthulhu Sex, Borderline e Phenix, autore di copertine discografiche e di numerose covers di genere per l’editoria francese.

Le sue tavole percorrono i temi disturbanti – e a tratti apertamente provocatori – della follia, la morte, l’alienazione dell’infanzia. Composizioni in cui spesso si trovano inseriti segni e simboli di tradizione esoterica, riferimenti occulti che si dichiarano parte integrante dell’immagine al di là del semplice valore estetico della raffigurazione.

Dal disegno e la pittura, le tecniche vanno a comprendere l’uso della fotografia e dell’elaborazione digitale sino al tridimensionale, il tutto espresso attraverso le influenze artistiche del Simbolismo e della “Nuova Oggettività” tedesca anni 20, oltre le suggestioni visuali contemporanee, fra gli altri, di un McKean o di un Luetke.

Gallerie: sito web ufficiale www.fabricelavollay.com; spazio personale in MySpace; pagina dedicata su Epilogue.

venerdì 24 aprile 2009

Hypnos #5: Hanns Heinz Ewers e Sax Rohmer


Quinto numero e sempre alti standard per Hypnos. Rivista di Letteratura e Fantastico, giunta al terzo anno di attività attraverso un’approfondita rassegna saggistica e narrativa che vede il recupero, o la riscoperta, di alcuni fra i nomi meno frequentati e ingiustamente trascurati nell’ambito – alquanto ristretto – di tal genere di letteratura in Italia. Autori fantastici dal contemporaneo Thomas Ligotti ai “classici dimenticati” Walter De La Mare e Fitz-James O’Brien, passando per Henry H. Whitehead e Jean Ray, il più recente Robert Aickman, l’Alfred Kubin scrittore o anche i weird tales valdarnesi del nostro Giovanni Magherini-Graziani.

Nella sua uscita di primavera 2009, la pubblicazione curata come sempre da Andrea Giusto si apre con un racconto “italiano” di Hanns Heinz Ewers, “Il ghigno (C.3.3., 1903), apparso ne I cuori dei re e altri racconti (La Conchiglia, 2005) senza indicazioni circa la traduzione e, in precedenza, ne Il ragno e altri racconti del terrore (Del Bosco, 1972) per la versione a firma di Marie Odazio. Nella Capri frequentata dall’autore ai primi del Novecento, la storia si sviluppa sull’incontro fra Ewers e un ormai esule ed esausto Oscar Wilde perseguitato da una sinistra, grottesca e immane presenza.

Un lungo e dettagliato saggio di Pietro Guarriello, forse al momento il più esauriente a disposizione nella nostra lingua, segue a illuminare l’opera e la figura controversa, oggi qui poco nota, dello scrittore tedesco scomparso nel 1943.

Al britannico Sax Rohmer, nome d’arte di Arthur Henry Sarsfield Ward, è invece dedicato l’articolo di Andrea Morandi a introduzione de Il signore degli sciacalli (Lord of the Jackals, 1917), un racconto inedito, sinora, per l’Italia, ottimamente tradotto dallo stesso Morandi. Vicenda essenzialmente esotica che volge al fantastico tra le sabbie del deserto egiziano, si tratta dell’unico titolo pubblicato su Weird Tales nel settembre del 1927 per il creatore del celeberrimo Dr. Fu Manchu, autore di storie soprannaturali oltre che mystery.

Ancora un breve intervento saggistico si occupa questa volta dei Current 93, lo storico gruppo musicale di David Tibet del quale Cesare Buttaboni ci espone tematiche e interessi nel solco della tradizione gotica anglosassone, espressi in studio di registrazione come nel campo editoriale.

Ultima citazione riservata a I dottori della peste, racconto che segna il ritorno di Ivo Torello alla narrativa stampata dopo un troppo lungo periodo di silenzio. Un’alienazione, sorta di percezione allucinatoria in apparenza, contagia l’osservatore rendendosi in ultimo “rivelazione” in un weird horror essenziale e diretto, di rara efficacia per un genere di storia che troppo spesso finisce, in Italia, col ricalcare altrimenti scontati manierismi da bestseller.

Illustrazioni di Davide Bonadonna, Ivo Torello e Alfred Kubin. Hypnos #5 e i suoi numeri arretrati – in via di esaurimento le prime uscite – si possono acquistare via web attraverso il sito delosstore.it. Per informazioni, contatti e proposte di collaborazione con la rivista, l’email è hypnosmagazine@gmail.com.

Hypnos. Rivista di Letteratura e Fantastico
anno III, numero 5, primavera 2009
fascicolo, 44 pagine, Euro 3,00 ( + spese postali )

Contenuti:

I mostri all’angolo della strada, editoriale di Andrea Giusto
Il ghigno, racconto di Hanns Heinz Ewers
Hanns Heinz Ewers. Il mago del terrore, di Pietro Guarriello
Current 93. Gli ultimi eredi del gotico inglese, di Cesare Buttaboni
I dottori della peste, racconto di Ivo Torello
Sax Rohmer. Dalle sponde del Nilo alla nebbia di Londra, di Andrea Morandi
Il signore degli sciacalli, racconto di Sax Rohmer


martedì 21 aprile 2009

“Il cuscino di Lovecraft” (Lovecraft’s Pillow, 2006)


“Mi venne in mente mentre partecipavo alla mia prima World Fantasy Convention, nell’oscuro e lontano anno 1979. La Convention si teneva a Providence, città natale di HPL. Mentre vagavo senza meta un sabato pomeriggio (chiedendomi, naturalmente, se anche Lovecraft avesse un tempo vagato per quelle stesse strade), mi capitò di passare davanti a un monte dei pegni. La vetrina era piena del solito vivace assortimento di oggetti: chitarre elettriche, radiosveglie, rasoi a lama, sassofoni, anelli, ciondoli e pistole – pistole – pistole. Mentre guardavo tutta quesa accozzaglia, Mr Idea parlò dalla sua postazione in fondo alla mia testa, come ogni tanto fa, per motivi che nessun autore sembra comprendere pienamente. Mr Idea disse: «E se ci fosse un cuscino in quella vetrina? Un comune vecchio cuscino dalla federa leggermente ingiallita? E supponi che qualcuno (curioso del perché un simile oggetto sia esposto, magari uno scrittore come te) entri e chieda, e il responsabile del monte dei pegni gli dica che quello era il cuscino di H.P. Lovecraft, quello su cui dormiva ogni notte, su cui faceva i suoi fantastici sogni, forse anche quello sul quale è morto»”. (Stephen King, dalla postfazione a H.P. Lovecraft. Contro il mondo, contro la vita. Traduzione di Gemma Russo).

Questo aneddoto, sull’ispirazione per un possibile e tuttavia mai scritto racconto, Stephen King lo racconta nel 2005 nel corso della sua introduzione alla prima traduzione americana del volumetto di Michel Hoellebecq, H.P. Lovecraft. Contre le monde, contre la vie (1991). Intervento kinghiano che, in Italia, verrà aggiunto a postfazione del saggio nella seconda edizione (2005) di Bompiani.

Da qui dunque l’idea per Lovecraft’s Pillow, un cortometraggio scritto da Mark Steensland insieme a Rick Hautala e diretto nel 2006 dallo stesso Steensland, autore fra l’altro del curioso Il Vangelo secondo Philip K. Dick (The Gospel According to Philip K. Dick, 2001), un documentario a suo tempo proposto in videocassetta da Fanucci.

Uno scrittore di genere pieno di debiti quanto vuoto di reale ispirazione, la sventurata moglie, l’uomo del banco dei pegni e un medico rappresentano l’intero cast dei personaggi messi in scena. Il corto, della durata di dieci minuti circa, si limita a sviluppare al minimo le pur vaste possibilità del soggetto che si risolve, assai più che in vena fantastica, con tocco un po’ scontato e cinico da vecchio comic horror americano.

Una recensione in inglese si trova su DreadCentral. Oltre che su YouTube, il video è visionabile presso la relativa pagina in The Internet Movie Database.




venerdì 17 aprile 2009

Artur Golacki, “intuire il fantastico”



Artur Golacki nasce a Breslavia, in Polonia, nel 1956. Nella stessa città frequenta l’Accademia di Belle Arti laureandosi alla metà degli anni 80, periodo in cui partecipa alla formazione del gruppo artistico Luxus e di uno dei primi complessi reggae polacchi, i Miki Mousoleum. Nel 1989 si trasferisce quindi a Londra, dove risiede tuttora, membro attivo dal 2000 della Society for Art of Imagination.

Il suo approccio all’arte, basato fortemente sull’intuito, si esprime attraverso le tecniche del disegno, talora intervenendo su basi fotografiche, della pittura a olio e acrilico su carta e dell’aerografo, sino all’utilizzo della grafica digitale. Le immagini, surreali e fantastiche, scomposte e intricate a volte a frammentarne la percezione sgranata delle forme, altre a fonderla in movimento sfumato di fotografia.

“Intendo l’arte come una delle più alte forme di comunicazione. Nella mente di ogni persona, vi sono questioni irrisolte che tendono a rimanere tali per la maggior parte della loro vita. Quel che sto cercando di fare è comprendere e ritrarre un’esistenza in modo intuitivo, escludendo la necessità dell’investigazione e dell’analisi. Per me, creare è uno spazio nel quale ogni momento può essere una contemplazione benedetta da una visione intellettualmente incontaminata. In una maniera molto naturale, la forma riprende il soggetto. Un’armonia sconosciuta nasce e prende a esistere di proprio. Ciò mi fa sentire che io sono soltanto un messaggero”.

Gallerie: sito web ufficiale www.golacki.com; pagine dedicate su BeinArt, in DeviantArt e presso la Artrom Gallery Guild.

giovedì 16 aprile 2009

ALIA Anglostorie


“C’è un tema comune?
C’è un’idea dominante, in queste pagine?
Tutte le storie che state per leggere hanno a che fare con l’inganno, la mistificazione, la manipolazione della realtà.
Il vero e il falso.
Il reale e l’irreale.
E anche, tutte le storie che state per leggere hanno una solida etica a sottendere la narrativa.
Può essere un’etica perduta, un’etica ritrovata o un’etica riaffermata, ma è sempre presente.
Non possiamo che augurare a questo punto buona lettura, e ringraziare ancora una volta i nostri autori, i nostri complici, i nostri supporter.”

(Dalla presentazione di Davide Mana
)


Finalmente in uscita, dopo un’attesa un po’ più lunga del previsto, ALIA Anglostorie va a completare la quinta edizione del progetto di antologie internazionali di letteratura fantastica ALIA pubblicato dalle Edizioni CS_libri di Torino, terzo tomo dedicato ai racconti di lingua inglese dopo i due precedenti ALIA Sol Levante e ALIA Autori italiani apparsi nel corso del 2008.

Da Chiang a Moorcock, una rosa notevole di autori per una rappresentativa varietà di temi e stimoli, sette storie in “143 pagine di solida narrativa,” come scrive Davide Mana, curatore e traduttore della raccolta, in cui “c’è tutto, dalla fantascienza hard al fantastico puro, passando per il falso holmesiano”. Testi che si arricchiscono di cinque illustrazioni originali realizzate da MoMaKon, Chiara Negrini e ScarletGothica, mentre a Suemi Jun resta affidata la suggestiva copertina del volume.

Ordini e informazioni attraverso il blog di ALIA Evolution, sul sito web www.aliaracconti.info e presso i recapiti delle Edizioni CS_libri, all’indirizzo di CS Coop. Studi, Via Ormea 69, 10125 Torino — tel. 0116503158 — fax 0116503502email: ordini@aliaracconti.info.

Contenuti narrativi:
Che cosa ci si aspetta da noi di Ted Chiang
Il sentiero del Sole di Lillian Csernica
Lo spadaccino che non si chiamava Morte di Ellen Kushner
L’avventura dell’inquilino di Dorset Street di Michael Moorcock
Barbablu e il bisonte bianco, una storia di Rangergirl di Tim Pratt
Miss Carstairs e il Tritone di Delia Sherman
Corona di Karl Schroeder

ALIA Anglostorie
AA.VV.
ALIA L’arcipelago del fantastico, Edizioni CS_libri, 2009
brossura, illustrato, 150 pagine, Euro 14,00


sabato 11 aprile 2009

La città della terribile notte


James Thomson (Port Glasgow 1834 - Londra 1882) inizia a diciassette anni la sua atti­vità di poeta e di collaboratore di riviste letterarie, con traduzioni, saggi, prose e poesie sotto la spinta delle letture di Shelley. Nel 1862 si trasferisce a Londra e trova impiego in un ufficio. Traduce Heine. Perennemente assillato dai debi­ti, in preda a frequenti attacchi depres­sivi, alcolizzato, nel lavoro è incostante e viene giudicato “inaffidabile.” Si dedica allo studio dell’italiano e del francese, col desiderio di tradurre Leopardi e Dante, Rabelais e Flaubert. Dopo il fallimento della ditta, trova lavoro come correttore di bozze e poi come segretario per una compagnia mineraria con minie­re in Colorado. Intanto la salute peggio­ra, lo stato psichico anche. Muore nel 1882 per emorragia cerebrale.

Costruendo, attraverso citazioni e ri­mandi a Baudelaire e Poe, l’immagine visionaria e misteriosa di una città di «edificata desolazione» e di tenebra, do­ve «Fede, Amore e Speranza» sono mor­te, Thomson apre la strada alla speri­mentazione della poesia del Novecento e alla Terra desolata di T.S. Eliot. La città della terribile notte (1874), polisemico spazio di un viaggio iniziatico sen­za approdo e presagio del destino di una metropoli moderna, si disegna co­me un deserto, una necropoli stermina­ta, un vasto teatro d’ombre in cui si ag­girano figure insonni e allucinate, scor­re il «fiume dei suicidi» e regna «regina e patrona» la Melanconia.

Pure a considerevole distanza temporale dall’uscita, nel 2000 presso l’editore Panozzo di Rimini, è ancora il caso di spendere più che qualche riga a proposito de La città della terribile notte di James Thomson, tanto più che il volumetto, tuttora in catalogo, resta l’unica traduzione italiana disponibile del cupo e visionario poema tardo vittoriano, qui proposto nella puntuale e attenta versione di Liliana Losi e Mili Romano con il testo originale a fonte. Un classico per la lingua inglese ma, complici forse le tematiche inadatte al devoto gusto naturalistico italiano, qui da noi al solito ignorato.

Composto fra il 1869 e il 1873, apparso sulle pagine del National Reformer celandosi dietro alla firma di Bysshe Vanolis il secondo nome del poeta Shelley unito all’anagramma di Novalis – e pubblicato in volume, infine, solo nel 1880, The City of Dreadful Night è un lungo, disperato poema ateo e pessimista. La città stessa è l’immagine di una Londra fantastica e trasfigurata; una vasta e maestosa rovina, desolata e notturna, popolata d’ombre né morte né davvero vive, prive di scopo e di speranze. Un luogo della mente, e insieme un’estrema, nerissima visione dell’esistenza urbana, attraversata in una serie di quadri frammentari, distopici, ferocemente critici dei valori del suo tempo. Una sorta di pellegrinaggio infernale, verso il sollievo dell’oblio in antitesi al mito cristiano della redenzione.

L’omaggio dantesco è palese, ponendo già in epigrafe il verso “Per me si va nella città dolente” a precedere una più estesa citazione dai Canti e le Operette morali dell’altrettanto ammirato Giacomo Leopardi (benché non indicato, si tratta dei versi 93-98 da “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia,” e i primi sei versi più la conclusione dal “Coro di morti nello studio di Federico Ruisch”).

Alcoolismo e soprattutto depressione segnano chiaramente la vita e l’opera del solitario, insonne James “B.V.” Thomson – le iniziali dello pseudonimo aggiunte, di solito, per distinguerlo dall’omonimo poeta settecentesco, scozzese anch’egli. Ed è la “melanconia” letteralmente a presidiare La città della terribile notte sovrastandola, figura titanica e scultorea, incontrata alla chiusura del percorso, le cui fattezze sono una descrizione esatta della Melancolia I (1514) nella celebre incisione di Albrecht Dürer.

Qui di seguito il canto XVII de La città della terribile notte, sia in inglese che per come tradotto da Liliana Losi e Mili Romano nel volume. Un assaggio della poesia di Thomson, in questo caso intrisa di un “cosmicismo” che quasi sembra anticipare, almeno in tono, certa poesia fantastica americana dei primi anni del secolo seguente – quella di Sterling e C.A. Smith, per fare nomi.


Completano il volumetto una introduzione di Mili Romano, necessaria per inquadrare nel proprio contesto un autore così poco noto in Italia, e la finale cronologia bio-blibliografica. Vale la pena di procurarsi quest’unico approccio italiano a quel che è senz’altro il maggiore horror poem dell’Ottocento inglese, affrontando l’attesa di un ordine librario, via web o diretto presso il sito di Panozzo Editore. The City of Dreadful Night è tuttavia facilmente reperibile, in lingua originale e in rete, come file di testo a partire da risorse quali il Project Gutemberg, fino alla possibilità di leggere o scaricare l’intero libro di James Thomson nella sua prima edizione londinese (Reeves and Turner, 1880) come scansione grafica dall’Internet Archive.

La città della terribile notte
James Thomson
collana Episodi, Panozzo Editore, 2000
brossura, 152 pagine, Euro 9,50
ISBN 88-86397-57-7

martedì 7 aprile 2009

Benedetta Bonichi, “vedere nel buio”



Nata ad Alba nel 1968, Benedetta Bonichi realizza le sue prime opere in gesso, sculture e rilievi su cui lasciar esprimere e scorrere le proiezioni dell’ombra, assai più che il gioco di luce che spicca a sua volta per assenza, privilegiando infine il non visibile; la percezione dell’oscuro interno di un mondo filtrato e recepito con tutt’altra vista, quella dei “raggi X” base per i seguenti e personalissimi lavori – quasi una danse macabre d’attuale o prossimo tardo medioevo – insieme al disegno, le tecniche fotografiche e quelle digitali.

Dalla pagina biografica sul sito personale: “Dopo anni di ricerca e di studi (da quelli filosofici, di storia antica, antropologia e filosofia del linguaggio alla paletnologia e l’etologia) attraverso il Presidente della Società Italiana di Microbiologia entra in contatto con la Scuola di Antropologia Umana della facoltà di Biologia a Firenze e collabora con alcuni docenti americani. Nel 1991 lascia l’Università, si occupa di musica, danza, mimo; fonda una agenzia teatrale, e inizia a disegnare, dipingere e scolpire. Nel 1995 si imbatte per caso in To See in the Dark, un articolo scritto in Germania nel 1934. Alla luce di una lettura kantiana della realtà di stampo lorenziano, dal 1995 al 1997 realizza una cinquantina di sculture fatte di ombre. Convinta della necessità di dover andare oltre – «La realtà, questa magnifica ossessione io non so studiarla, né descriverla, né disegnarla» – Benedetta Bonichi, cerca un nuovo linguaggio. Dopo anni di ricerche, al di là dell’estetica, ignorando la luce, nel 1999 nascono le prime radiografie”.

“La radiografia è più di una tecnica. È semmai una teknè; ovvero l’unico ‘mezzo’ possibile per leggere la realtà, attraverso la materia, anziché la luce. La radiografia, unita alla fotografia, al digitale e al carboncino e le polveri d’affresco”.

Gallerie: sito web ufficiale To see in the dark.

domenica 5 aprile 2009

Torino: c’è Dracula in teatro


Tradurre il Dracula di Hamilton Deane e John Balderston. Perché? Cosa ci può essere di utile nel rendere in italiano un testo di ottanta anni fa e cercare di metterlo in scena? Prima di tutto: perché la figura di Dracula è così legata all’immaginario collettivo da essere, forse, una delle poche immagini che saltano alla mente di chiunque, indipendentemente dall’età, dalla cultura e dal ceto. Quindi, una figura universale o, come si abusa oggi, un’icona. E poi perché la figura del vampiro suscita con la stessa intensità, repulsione e fascino. Anzi, direi quasi che Dracula affascina proprio perché è repellente: il suo carisma è pari alla malvagità. Abbiamo un moto di attrazione/repulsione nei suoi confronti. Abbiamo paura di sentirci attratti dal mondo oscuro, ma fondamentalmente romantico e sensuale, che scatena e vorremmo esserne prede: un tuffo nell’irrazionale, una forma di liberazione dalle catene della consuetudine. Dracula ci potrebbe rivelare una parte di noi che non conosciamo, pur sapendo benissimo dov’è: dentro di noi, in ciascuno di noi, esiste una terra-di-nessuno in cui potremmo essere diversi da ciò che siamo, e Dracula punta proprio su questo.

Ancora Torino si rivela città ideale per portare il fantastico e l’horror sulle scene. A salire sul palco, tocca questa volta al principe dei vampiri – anzi, per eccellenza il “Conte” – con la prima traduzione italiana autorizzata dello storico Dracula teatrale anni 20 di Deane e Balderston, dal quale a sua volta fu largamente tratto il celeberrimo film Universal del 1931. Lo spettacolo, nella versione di Antonello Panero scritta con Massimo Chionetti, viene proposta dall’associazione Thealtro nelle tre date di giovedì 16, venerdì 17 e sabato 18 aprile al Teatro L’Espace di Torino.

L’adattamento del romanzo di Bram Stoker, su licenza della vedova dello scrittore, ebbe una prima versione inglese a firma di Hamilton Deane il quale riservò per sé, quale attore, la parte di Van Helsing. Da Londra a Broadway, sull’onda del successo, il dramma in tre atti venne quindi affidato nel 1927 alla revisione dello sceneggiatore americano John L. Balderston, nell’ordine di venire incontro ai gusti del pubblico d’oltreoceano. Le fortune teatrali di Dracula: the Vampire. A Play in 3 Act non cesseranno da allora mai del tutto, rinnovate nel 1977 sempre in America con un sontuoso allestimento – in grande stile, complici i costumi e le suggestive scenografie goticheggianti di Edward Gorey – anch’esso trasposto sul grande schermo, nel 1979. Anche in questo caso, come per l'icona Bela Lugosi nel ’31, portando alla ribalta di Hollywood lo stesso principale interprete del Dracula acclamato in palcoscenico, un giovane e fascinoso Frank Langella.

Una presentazione del Dracula di Thealtro avrà luogo martedì 14 aprile, alle 18.00, presso la libreria Fnac di Torino in via Roma 56, occasione che pure vedrà presentare il recente volume The Dark Screen. Il mito di Dracula sul grande e piccolo schermo di Franco Pezzini e Angelica Tintori (Gargoyle Books, 2008), monumentale saggio sul personaggio stokeriano on stage, al cinema e in TV. Interverranno gli autori Franco Pezzini e Angelica Tintori, e il regista dello spettacolo Antonello Panero insieme agli attori della Compagnia Thealtro, con intervento dell’esperto Massimo Introvigne.

Qualche ulteriore particolare, sulla rappresentazione e circa le iniziative collegate, si trova sulle pagine del blog Ciclopestrabico e su Massimo Masshimo’s Weblog.

Thealtro
Dracula
di Hamilton Deane e John Balderston
Prima traduzione italiana autorizzata e depositata di Antonello Panero
Collaborazione al testo di Massimo Chionetti
Con Davide Bernardi, Massimiliano Bortolan, Massimo Chionetti, Enrico Cravero, Fabio De Remigis, Federico Sacchi, Patrizia Schneeberger, Veronica Stilla
Luci e suono di Michele Di Rocco – Scenografie di Marco Mancin – Fotografi di scena Eloise Nania e Giorgio Violino – Elaborazioni grafiche Massimiliano Gallo
Assistente di scena Giovanni Costanza – Aiuto regista Massimiliano Bortolan
Regia di Antonello Panero
16 - 17 - 18 aprile 2009, ore 21.00
Teatro L’Espace
Via Mantova 38, 10153 Torino – Tel. 0112386067 – Fax 01119703521
Biglietto intero: 10,00 Euro – Ridotto: 8,00 Euro – Studenti: 5,00 Euro
Informazioni: info@salaespace.it

giovedì 2 aprile 2009

Studi Lovecraftiani, i numeri 9 e 10


“Italian Lovecraftian activity continues at a gratifyingly high level” (“le attività lovecraftiane in Italia proseguono a un gratificante alto livello”). Così S.T. Joshi si avviava a segnalare le uscite di Studi Lovecraftiani fra le “note in breve” di Lovecraft Annual n. 2 (2008), il magazine specialistico da lui curato per la Hippocampus Press.

Una citazione che valeva la pena ricordare, a merito di una piccola pubblicazione italiana che dal 2005 prosegue – con le sole proprie forze – a proporre critica e studio sull’opera e la vita di Howard Phillips Lovecraft, anche attraverso i volumi a tiratura limitata editi sotto l’insegna della Dagon Press, con scritti originali cui si accompagnano documenti inediti, articoli e importanti saggi stranieri in traduzione. Tutto questo, in un panorama nazionale che proprio di seria critica e studio sulla letteratura horror e fantastica avrebbe un gran bisogno.

Per la consueta e puntuale cura di Pietro Guarriello, sempre nel nuovo formato “book” intorno alle cento pagine in brossura, Studi Lovecraftiani è adesso disponibile con l’ultima doppia uscita dei suoi numeri 9 – a completare lo speciale sul cinema della quinta e sesta uscita – e 10, non meno ghiotto in contenuti, come vedremo a seguito, grazie anche alla prima traduzione italiana del brevissimo “The Slaying of the Monster” (1931 circa), prima collaborazione fra un giovanissimo R.H. Barlow e il “Vecchio Gentiluomo” che, pazientemente, provvide a sistemare la prosa del racconto. Di Matteo Bocci, ancora, sono entrambe le splendide copertine a colori.

Studi Lovecraftiani n. 9 - Speciale Lovecraft al Cinema Vol. 3 (Inverno 2009, pp. 88) contiene il terzo e ultimo speciale su “Lovecraft e il cinema.” Si apre con un interessante excursus del critico francese Jean-Louis Leutrat che per la prima volta rivela curiosità, risvolti e retroscena lovecraftiani del film Providence di Alain Resnais. Fra gli altri contenuti anche un lungo saggio sui film tratti dal racconto “Il Colore Venuto dallo Spazio,” due interviste – al regista Stuart Gordon, che non ha qui bisogno di presentazioni, e a uno degli autori della premiata pellicola The Call of Cthulhu, Sean Branney (quest’ultima in esclusiva) – poi, estratti di lettere inedite di Howard Phillips Lovecraft stesso, che rivela i suoi gusti mainstream in fatto di cinema, quindi un pezzo sui serial televisivi che hanno presentato storie lovecraftiane, e molto altro ancora.

STUDI LOVECRAFTIANI #9
Speciale Lovecraft al cinema – libro terzo
Inverno 2009, 88 pagine, Euro 10,00

Sommario:

- Lovecraft e il cinema, di Jean-Louis Leutrat
- Il cinema di The Colout Out of Space
, di Davide Rossato
- Lovecraft & Carpenter nelle fauci della follia
, di Luigi Musolino
- Filmando l’Infilmabile: Intervista a Stuart Gordon
, a cura di Joseph O’Brien
- Intervista a Sean Branney
, a cura di Stefano Mazza
- La ‘Cosa’ sulla Sponda: Elementi di teratologia lovecraftiana in “The Host”
, di Luca Foffano
- Sul cinema: Lettere a Robert Bloch
, di H. P. Lovecraft
- Cthulhu Films
, di Davide Rossato
- Lovecraft televisivo
, di Charles P. Mitchell
- Filmografia lovecraftiana a schede
, di Stefano Mazza

Studi Lovecraftiani n. 10
(Inverno 2009, pp. 104) offre due corposi saggi, uno sul racconto di Lovecraft “Nella Cripta” (In the Vault), di cui vengono analizzate le influenze che hanno radici nel folklore e nelle antiche credenze popolari, l’altro sui racconti lovecraftiani dello scrittore texano Robert E. Howard, che fu amico e corrispondente di Lovecraft nonché, al suo pari, nume tutelare del mitico pulp-magazine Weird Tales. Nelle “Note lovecraftiane” vengono ripercorsi cinque anni di musica rock ispirata dalle storie del Maestro di Providence, mentre il critico americano Peter Cannon documenta le similitudini letterarie esistenti tra il Moby Dick di Melville e “L’orrore di Dunwich” di Lovecraft. In esclusiva italiana è tradotta, infine, una collaborazione narrativa, da noi ancora inedita, tra H.P. Lovecraft e Robert H. Barlow.

STUDI LOVECRAFTIANI # 10
Inverno 2009, 104 pagine, Euro 10,00

Sommario:

- “Nella Cripta” di H. P. Lovecraft
, di Gianluca Stirpe
- Avventurieri alle soglie dell’Altrove: H. P. Lovecraft, R. E. Howard e i “Miti di Cthulhu
, di Umberto Sisia
- Testi Sacri e Cosmogonie: Il Necronomicon tra miti primevi e simbolismi archetipi
, di Renzo Giorgetti
- Note Lovecraftiane
, di Bruno Gargano
- “Chiamatemi Whateley”: Echi di Moby Dick in The Dunwich Horror
, di Peter Cannon
- L’Uccisione del Mostro
, di Robert H. Barlow & H. P. Lovecraft
- Riflessioni nel Tempio di Bokrug
, di Umberto Sisia
- L’Orrore di Derleth
, di Robert M. Price

Ogni numero di Studi Lovecraftiani costa 10,00 Euro più spese di spedizione, che sono di Euro 2,50 per la posta ordinaria oppure di Euro 4,00 per la raccomandata. Le richieste – così come per domande e informazioni– possono essere inoltrate all’indirizzo e-mail della redazione: studilovecraft@yahoo.it.

Sito web: studilovecraftiani.blogspot.com; pagine alternative su MySpace e Facebook.