venerdì 30 novembre 2007

Le Livre Qui Rend Fou / A Book of Unspeakable Things


Prosegue fino all’8 di aprile presso La Maison d'Ailleurs di Yverdon les Bains, in Svizzera, la mostra L'expo qui rend fou; H.P. Lovecraft et le livre de raion / An Exhibition of Unspeakable Things allestita in occasione del 70° anniversario della morte di Howard Phillips Lovecraft, per la quale è stato realizzato un catalogo attualmente in vendita presso il museo stesso e, anche in rete, attraverso la catena delle librerie Payot.

Robusto volumetto rilegato in tela nera, senza alcun titolo oltre all’originale teschio stilizzato del logo ufficiale impresso in argento sul piatto di copertina, Le Livre qui rend fou / A Book of Unspeakable Things seleziona novanta singole illustrazioni fra quelle del centinaio circa di artisti in esposizione e raccoglie concisi interventi inediti di sedici autori internazionali della fantascienza e del fantastico, il tutto curato dal responsabile della mostra Patrick J. Gyger con testi sia in francese che di lingua inglese in parallelo.

Una stringata introduzione si occupa di presentare la “mostra di cose indicibili” ispirata ai contenuti del Commonplace Book (in italiano: Diario di un incubo. Taccuini 1919-1935, Mondadori 1994), il taccuino sul quale Lovecraft nel corso di una quindicina d’anni annotò idee e spunti, soggetti e semplici abbozzi narrativi spesso mai ripresi. Ogni contributo artistico all’iniziativa viene infatti chiamato a citare una delle duecentoventidue voci che compongono la compilazione lovecraftiana, o a rifarsene in qualche modo.

Brevissimi i testi originali, mai superiori alla misura di una pagina e al più senza titolo oltre la citazione integrale dello spunto che scelgono di affrontare. Si tratta di brani sovente compressi in storie non a pieno sviluppate, come propongono Jeffrey Ford, David Collin, Terry Bisson, Lucius Shepard, Norman Spinrad, H.H. Løyche, il Paula et Morthilla di Jacques Finné e The Trace of Him di Christopher Priest. Alcune più compiute, come quella di James Morrow sul tema “Hand of Dead Man Writes” che si conclude con l’espediente grafico della riduzione progressiva del carattere di stampa. Ci sono strizzate d’occhio a Lovecraft come personaggio in Les livres de la Ville Noire di Philippe Forêt, oppure agli effetti dell’ipotetico racconto se davvero fosse stato da lui scritto sulla base dell’annotazione, come avviene per Eugène, o anche recensioni e citazioni di tali possibili opere per Paul Di Filippo e per Ian Watson, in Quatrième de couverture rédigée par Pierre-Yves Lador di Pierre-Yves Lador e nella Critique de “L’Île de la Vierge” de H.P. Lovecraft del nostro Valerio Evangelisti.

Il catalogo vero e proprio dell’esposizione occupa, com’è ovvio, la parte maggiore del libro con esempi di ogni tecnica, dalla semplice vignetta in bianco e nero all’illustrazione pittorica e la fotocomposizione, e di ogni tipo di approccio dall’umorismo all’horror, con una varietà d’opere di forte impatto e alcune altre che non sempre hanno l’aria di essere granché in argomento. Sempre accompagnate al riferimento lovecraftiano bilingue, qualcuna fra le riproduzioni risulta particolarmente penalizzata dal formato ridotto del volume (cm. 21x15) e avrebbe certo trovato resa migliore con una stampa su carta lucida. L’ampia tavola orizzontale di John Coulthart, per esempio, è ridotta ai minimi termini a causa della larghezza della pagina, mentre quella di Paul Carrick quasi si perde alla vista in un verde buio di tonalità troppo scure.

Sempre comunque interessante nella scoperta di tanti nomi fra i meno noti, il lungo elenco degli artisti pubblicati comprende in rigoroso ordine alfabetico: Albertine; Aeron Alfrey; Sylvain Amacher; Fred Bastide; Jose Antonio Bautista; Bénédicte; Noah Berlatsky; Stephan Bersier; Bertschy; Christian Bili; Eric Braün; Gabriel Br.; Giacomo Carmagnola; Paul Carrick; Caza; Daniel Ceni; Jean-Michel Cholette; Albin Christen; Gilles Christinat; Cosey; John Coulthart; Marc Da Cunha Lopes; Brendan Danielsson; Guy Davis; Antoine Déprez; René Donais; Randy DuBurke; Antoine Duplan; Kevin Evans; Léonard Felix; Deak Ferrand; Mathias Forbach; Fufu Frauenwahl; Fritz & Ángel Olivera; Hugues Lapaire; Stephan Gaudin; Gess; H. R. Giger; Thomas Gilbert; Goomi; Gnot Guedin; Antoine Guex; Alban Guillemois; Gwabryel; Karen Ichters; Anna-Maria Jung; Julien Käser; Jean-Philippe Kalonji; Körner Union; Krum; Guillaume Long; Denis Martin; Laurent Mettraux; Monsieur Mishimoto; Mix & Remix; Sebastián Mulero; Jason Murphy; Julien Noirel; Johan Nowasad; Noyau; David Paleo; Fernando Pascual; Nancy Peña; Yann Perrelet; Stéphane Pichot; Nicolas Pitz; Plonk et Replonk; Alexandre Pointet; Mark Prent; Björn Quiring; Richard Raaphorst; Nadia Raviscioni; Jeff Remmer; Émile Roduit; François Rouiller; Jérémie Royer; David Saavedra; Patrick Saradar; Rick Sardinha; Irene Schoch; Andrés Soria; Laurence Suhner; Erwann Surcouf; Olivier Texier; Jason Thompson; Tom Tirabosco; Tito; Régis Tosetti; Walder; Anne Wilsdorf.

Le Livre qui rend fou / A Book of Unspeakable Things
Textes et illustrations inspirés du “Livre de Raison” de H.P. Lovecraft
autori vari
catalogo della mostra, Maison d'Ailleurs, 2007
rilegato, 128 pagine, 90 illustrazioni in b/n e a colori, CH Franchi 37.00
ISBN 2010139860206


(Recensione pubblicata sulla rivista Studi Lovecraftiani - anno III, numero 7, inverno 2008)

martedì 27 novembre 2007

The Dunwich Horror, again


Sembra che ci sia sempre una gran sete di remake, persino nell'oscuro e limitato mondo del cinema lovecraftiano.

Il film originale di Daniel Haller, giunto in Italia come Le vergini di Dunwich, era stato realizzato nel 1970 nel tentativo di "aggiornare," con qualche psichedelica strizzata d’occhio alla controcultura del periodo, l'ormai classico filone horror delle produzioni americane targate Roger Corman. Senza, al solito, rispettare troppo il testo di riferimento, né particolarmente riuscire come film in sé, ma proponendo comunque qualcosa di interessante e di curioso.

Una nuova versione di The Dunwich Horror è ora prevista in uscita per la primavera del 2008, scritta e diretta per la Skorpio Film da Richard Griffin, insieme a un gruppo di autori e produttori specializzati in supereconomici horror demenziali (Feeding the Masses, Raving Maniacs, Creature From the Hillbilly Lagoon, Pretty Dead Things, Splatter Disco, The Dysfunctional Book Club) tutti realizzati nel corso degli ultimi tre anni.

Il film, dichiara il regista intervistato da Fangoria, è girato in diverse località del New England e intende distaccarsi dalle ultime produzioni personali, che tendevano a mischiare la commendia con l’orrore, per ispirarsi ai classici degli anni 60 e 70 e rendere omaggio, aggiunge Griffin, “ai maestri italiani dell’horror Lucio Fulci e Mario Bava.”

Perplessi sull’ennesima riduzione cinematografica indipendente di uno dei più noti racconti di Howard Phillips Lovecraft? Nel frattempo, ci si può togliere qualche curiosità dando un’occhiata al teaser, da poco diffuso, di questo prossimo nuovo Orrore di Dunwich.



domenica 25 novembre 2007

Wieslaw Walkuski



Nato a Bialystok, in Polonia, nel 1956, Wieslaw Walkuski compie i suoi studi presso l’Accademia di Belle Arti di Varsavia, città dove vive e lavora. Pittore e illustratore, inizia dal 1981 a collaborare con diversi editori, con enti teatrali e case di distribuzione cinematografica realizzando centinaia di poster per film e spettacoli.

C’è una straordinaria tradizione surreale, inquietante e fantastica, che pervade dal primo dopoguerra la grafica e la pittura polacca a partire dal suo aspetto più popolare: i manifesti teatrali e quelli per il cinema, compresa l’irruenta cinematografia americana ancora di recente reinterpretata e personalizzata in locandine del tutto originali. Una naturale dimestichezza con l’irreale, con il Fantastico in quanto forse strumento ideale per un approccio indiretto ma efficace ai temi dell’immediata realtà, della critica sociale e politica.
Una corrente comune che attraversa un’ampia parte dell’arte nazionale, dal genio visivo all’artigianato dell’illustrazione. Beksinki, Siudmak, Walkuski… e ancora altri nomi da “scoprire” almeno per il distratto sguardo italiano.

Gallerie: Wieslaw Walkuski in poster.com.pl e in polishposter.com

venerdì 23 novembre 2007

La coppa di cristallo


Il nome di Bram Stoker (1847-1912) è indissolubilmente legato a uno dei romanzi più celebri di tutti i tempi, Dracula, che apparso nel 1897 ha ispirato innumerevoli adattamenti teatrali e cinematografici. Come spesso accade in questi casi, la straordinaria fama di un’opera arriva paradossalmente a offuscare le altre; tuttavia Stoker, che fu giornalista e critico teatrale per “The Evening Mail,” scrisse un gran numero di romanzi e racconti, fra i quali i tre qui riuniti: “La coppa di cristallo” (1872), “Il castello del re” (1876) e “Il costruttore d’ombre” (1881). Colpisce in particolare, in questi racconti, che si presentano come altrettanti apologhi su Amore e Morte — e non solo l’amore fra uomo e donna, ma anche, come nel terzo racconto, quello fra madre e figlio —, la capacità visionaria dell’autore, nonché la sua abilità nel proiettare all’interno di rappresentazioni mitiche, favolose, oniriche (quasi un aldilà della vita ricavato allegoricamente dalla vita stessa) intense e affascinanti storie di separazione e di ricongiungimento.

Tre dunque le storie di Bram Stoker proposte in questa minuscola raccolta, tradotta per Passigli da Simone Garzella. Tutte appartenenti a un periodo giovanile dell’autore, non troppo mature nei loro toni melodrammatici di fiabe fantastiche e accomunate da un filo conduttore che trova l’Amore idealmente prevalere sulla Morte.

Il racconto di apertura è il solo del volumetto a risultare inedito in italiano. Ne La coppa di cristallo (The Crystal Cup), è l’arte a dare riscatto all’amore oltre e attraverso la morte, per mezzo di un calice nella cui realizzazione un artigiano, prigioniero, riversa la sua stessa vita.
Il castello del re (The Castle of the King) segue il percorso di un poeta, tra allegoria e sogno, per raggiungere l’amata sin nel regno dei morti, mentre ne Il costruttore d’ombre (The Shadow Builder) è una madre che cerca di strappare alla morte il figlio lontanissimo, disperso in mare. Favole romantiche, gravate di esasperate metafore e moralismi vittoriani, entrambe incluse nella collezione fiabesca Under the Sunset del 1882, già integralmente pubblicata in Italia come Il paese del tramonto da Stampa Alternativa nel 1999.

Opere lontane dallo Stoker migliore o più rappresentativo, interessanti comunque nello sviluppo di un autore e di un’epoca che, nel bene e nel male, hanno segnato un punto di passaggio fra il crepuscolo del gotico e la nascita del romanzo horror moderno.
Più perplesso può restare chi si avvicini al nome in copertina cercandovi un’eco del Dracula o dei più noti suoi racconti del terrore, specialmente in assenza di un qualunque tipo di apparato critico o introduttivo a illustrare la natura del libro. Non una nota esplicativa, non un riferimento bibliografico né altra presentazione oltre alle poche righe sul risvolto di copertina, citate qui in apertura.
Insieme alla rarefazione delle pagine, la totale mancanza di interventi in appoggio al testo appare ormai come una ricorrenza abituale (e piuttosto desolante) in piccoli e grandi editori.

Destino dell’appassionato di weird e horror in Italia è poi quello di ricomprare continuamente gli stessi racconti, per poter catturare un “effettivamente inedito” in mezzo a pagine riempite altrimenti di ristampe e di riproposte in altro titolo. Giusto un anno fa, presso diversa casa editrice faceva la sua comparsa un La catena del destino e altri racconti inediti di Bram Stoker il quale di inedito, nonostante l'intestazione, aveva al massimo la disposizione dei contenuti in unico volume. Ma un’altra novità stokeriana dovrebbe arrivare a giorni in libreria con Il passo del serpente (The Snake’s Pass, 1890), primo romanzo dello scrittore irlandese, in uscita per Palomar di Alternative.

La coppa di cristallo
Bram Stoker
collana Le occasioni, Passigli, 2007
brossura, 83 pagine, Euro 8,50
ISBN 978-88-368-1044-4


mercoledì 21 novembre 2007

Peter Haining


Non è una scomparsa di quelle che fanno notizia, come nel caso recente di Ira Levin.

Difficile poi che qualcuno, qui specialmente, possa prestarvi attenzione persino tra i non numerosissimi appassionati dell’orrore letterario.

Eppure questi stessi appassionati, specie se non troppo giovani, avranno probabilmente avuto fra le mani prima o poi qualcuna delle sue edizioni tradotte in italiano.

Lo scorso 19 novembre è morto Peter Haining, 67 anni, curatore di innumerevoli antologie horror e fantasy, autore di quasi altrettanti saggi sugli stessi argomenti e su altro ancora, dalla stregoneria al cinema, dalla biografia alla fantascienza televisiva. Nel 2001 gli era stato assegnato uno speciale British Fantasy Award, classico premio alla carriera.

Nato nel 1940, l’inglese Peter Alexander Haining inizia la sua carriera come giornalista. Le investigazioni su un caso di satanismo, condotte per un quotidiano locale, lo portano a pubblicare il suo primo libro nel 1964, The Devil Worship in Britain, insieme a un collega reporter. Il suo interesse per il soprannaturale si estende quindi all'aspetto letterario pubblicando nel 1965 la prima antologia The Hell of Mirrors, una raccolta di classici del genere. Fra le seguenti, The Craft of Terror nel 1966 è dedicata agli autori del Romanzo Gotico.

Con particolare intensità nel corso degli anni 70, la serie proseguirà dunque fino a superare ampliamente il centinaio di titoli, selezionando storie secondo un approccio spesso tematico, con una netta propensione verso un horror tradizionale e d’atmosfera piuttosto che d’effetto. Interessato agli orrori vittoriani, sia leggendari che narrativi, Haining ha pubblicato saggi sul tema oltre a storie illustrate dell’horror, raccolte iconografiche e una quantità di altri volumi di vario tipo.

Le sue compilazioni di racconti arrivano più di rado in Italia, a partire da I classici della magia nera (The Satanists, 1969) pubblicato da Longanesi nel 1971. Qualche altro titolo da ricordare può essere Al cinema con il mostro (The Ghouls, 1971), un doppio Oscar Mondadori del 1981. Oppure Weird Tales (1976) presso Fanucci nel 1982, o ancora Grandi storie irlandesi del soprannaturale (Great Irish Stories of the Supernatural, 1992), altro Oscar Mondadori del 1997.

Un editor e saggista defunto non avrà forse lo stesso “peso” di un altrettanto trapassato scrittore di best sellers... ed è lecito attendersi un – “Eh?! Haning che?” – per reazione.
Chi legge letteratura fantastica e del terrore, best sellers a parte, non potrà invece fare a meno di ricordarlo come una delle firme più note e ricorrenti nell’oscuro settore degli incubi a stampa.


lunedì 19 novembre 2007

Gérard Trignac, architetture dell'ombra



Nato a Bordeaux nel 1955, Gérard Trignac studia architettura prima di specializzarsi nelle tecniche dell’incisione presso l’Académie des Beaux-Arts di Parigi.
Le sue stampe, acquisite da musei francesi, spagnoli e americani, hanno illustrato fra l’altro preziose edizioni limitate de L’immortale di Jorge Louis Borges e Le città invisibili di Italo Calvino.

Paesaggi urbani utopici o surreali come rovine di una rivoluzione industriale parallela; città sepolte nell’immaginario, forse troppo umane per collocarsi oltre le Montagne della Follia e riconoscibili in un “altrove” appena dietro l’angolo, all’incrocio tra memoria e fantasia. Come in una “nostalgia di cose sconosciute,” per saccheggiare una bella frase di Clark Ashton Smith.

Nelle incisioni di Trignac, le architetture fantastiche del sogno e dell’incubo si inseguono in fughe prospettiche nei meandri dell'ombra, le quali non possono che richiamare la visione di un Giovanni Battista Piranesi. E le oscure profondità delle Miniere di Moria.

Gallerie: Gérard Trignac in galleriadelleone.com e in crypto.freeze.org

sabato 17 novembre 2007

The Nightmare Factory


D’accordo… nemmeno in patria è un popolare autore da best-seller e, per abusare delle solite etichette di comodo, si può citare il Washington Post che una decina di anni fa lo definiva “il segreto meglio serbato nella narrativa horror contemporanea.” Lasciamo perdere l’Italia, poi, che ne ha pubblicato solo briciole.

Sarà pure un segreto ben custodito da pochi fanatici, ma Thomas Ligotti è uno degli autori più inusuali e innovativi dell’odierna letteratura weird e l’ombra della sua prosa d’incubo, evocativa, perturbante e per nulla semplice a leggersi, non poteva che allungarsi anche sul mondo dei fumetti.

Uscito lo scorso settembre presso la Fox Atomic Comics, The Nightmare Factory vorrebbe essere soltanto il primo di una serie di raccolte di graphic novels tratte da racconti di Ligotti, scelti tra quelli pubblicati nell’omonimo omnibus Carroll & Graf del 1996.

La curatrice Heidi MacDonald raduna alcuni nomi pesanti del settore per questo adattamento di quattro fra le storie horror “filsofiche e nichiliste” dello scrittore americano, sceneggiate da Stuart Moore, autore di Firestorm per la DC Comics, e da Joe Harris, attivo anche nel mondo del cinema: suo lo script del film Al calare delle tenebre (Darkness Falls, 2003). La copertina del volume, di grande impatto, è affidata ad Ashley Wood.

Apre l’albo The Last Feast of Arlequin dedicato alla memoria di H.P. Lovecraft, unico racconto fra i quattro a essere conosciuto in Italia, tradotto come La festa di Mirocaw in Millemondiestate 92 (Mondadori, 1992). Un antropologo, appassionato dei clown e in preda a una depressione stagionale, indaga le usanze di un singolare festival carnevalesco della provincia americana, finendo con lo scoprire cose più singolari di quanto mai potesse attendersi. Sorta di rielaborazione sul tema del lovecraftiano The Festival, la riduzione firmata da Moore è disegnata da Colleen Doran (Spider-Man; Sandman) per gli inchiostri di Lee Loughridge.

Dream of a Mannikin, sempre di Stuart Moore ma con le tavole realizzate da Ben Templesmith (30 giorni di notte), è una sorta di incubo che coinvolge uno psichiatra e la sua paziente legandoli in un’irreale sospensione tra sonno e veglia, nell’ossessione per la figura inquietante del manichino in un gioco di identità, riflesse e confuse, tra simulacro e persona.

Dr. Locrian Asylum, scritto da Joe Harris, è illustrato da Ted McKeever (Superman's Metropolis; Batman: Nosferatu). Un vecchio manicomio dismesso, nel quale furono condotti eccentrici esperimenti sui ricoverati, sovrasta letteralmente la decadente città che l’ospitava, senza però cessare il suo spettrale influsso nemmeno dopo essere stato abbattuto.

Teatro Grottesco conclude infine il quartetto, ancora dalla penna di Harris attraverso la vivida resa grafica di Michael Gaydos (Alias; Daredevil Redemption). Una strana leggenda urbana circola tra gli artisti del sottomondo cittadino: il “Teatro Grottesco”, uno sfuggente, indefinibile fenomeno che finisce col privare dell’impulso creativo coloro che, pare, vi entrino in contatto… almeno quelli che non spariscono nel nulla.

Lo stesso Thomas Ligotti fornisce una propria originale introduzione a precedere ognuna delle storie. Fra queste, più efficaci risultano le due basate sugli accadimenti assai più che sulla sola atmosfera, difficile da visualizzare per molti dei racconti ligottiani basati soprattutto sul linguaggio. Incidentalmente, si tratta pure dei due comics di più realistico tratto visivo, The Last Feast of Arlequin e Teatro Grottesco, come se un netto realismo maggiormente appoggiasse, nel contrasto, l’irrealtà dell’irruzione fantastica.

The Nightmare Factory verrà prossimamente pubblicato in Italia dalla Free Books con il titolo La fabbrica degli incubi, probabilmente in uscita intorno al gennaio 2008.

The Nightmare Factory
Based on the stories of Thomas Ligotti
S. Moore, J. Harris, C. Doran, B. Templesmith, T. McKeever, M. Gaydos
Fox Atomic Comics / HarperCollins, 2007
Brossura, stampa a colori, 112 pagine, U.S. $ 17,99
ISBN 978-0-06-124353-0


giovedì 15 novembre 2007

Storia del Necronomicon


La storia e la cronologia del Necronomicon, libro maledetto e mai esistito, che è riuscito a condizionare in maniera sconcertante l’esoterismo contemporaneo. Sebastiano Fusco, probabilmente il più noto e rigoroso esperto di Lovecraft in Italia, ne segue le tracce nell’epistolario e nella narrativa di Lovecraft stesso, esplorando anche le sue conoscenze magiche, parte meno nota della sterminata cultura lovecraftiana. Il testo svela frammenti di un sapere esoterico dimenticato e raccoglie in un’autentica Biblioteca di Babele tutti i testi mitici, autentici e apocrifi correlati.

Fin qui la nota editoriale del volume, pubblicato dall’editore Venexia in una collana che comprende vari testi fra il magico e l’esoterico e dunque di conseguenza presentato. Non sarebbe la prima volta che, in analogo contesto, appare un titolo con “Necronomicon” ben evidente in copertina. Ma almeno qui non c'è alcuna pretesa di vendere “poteri occulti in edizione economica”, tanto per citare un buon sottotitolo nell’opera.

Strana bestia questo Necronomicon. Nato nel settembre del 1922 dalla fantasia di Howard Phillips Lovecraft, che per la prima volta lo nomina nel racconto Il segugio (The Hound) pubblicato due anni dopo su Weird Tales, il “libro maledetto” pare non voglia saperne di restare una mera finzione letteraria. Da allora fa di tutto non solo per esistere, ma anche per convincere il mondo di esserci sempre stato. Un mondo, di solito, composto di entusiastici sostenitori, a partire dai semplici fans letterari, ludici o vagamente misteriosofici, fino ai praticanti di magia operativa che utilizzano il pantheon lovecraftiano sostenendone l’efficacia dei simboli.

Inevitabile, ovunque si parli di Lovecraft, trovare chi affermi la “realtà” del Necronomicon, per lo più basandosi su argomentazioni solide quali internet, il “sentito dire” e il “letto da qualche parte” senza verifica delle fonti, lasciando ovviamente agli altri l’onere della prova.
Non mancherebbero gli strumenti per far chiarezza sulle tante leggende nate attorno allo pseudobiblium nelle sue innumerevoli versioni, e alle favoleggiate conoscenze magiche del suo inventore. Opere esaurienti come The Necronomicon Files: The Truth Behind the Legend di Daniel Harms e John Wisdom Gonce III restano però inaccessibili al lettore italiano medio, limitato alle traduzioni che il convento editoriale gli passa.

Storia del Necronomicon di H.P. Lovecraft di Sebastiano Fusco riempie una parte di questo vuoto, partendo dall’origine: la History of the Necronomicon composta nel 1927 dallo scrittore americano per mettere ordine tra i diversi riferimenti narrativi e dare maggior coerenza alle future citazioni. Quindi, i racconti originali e i frammenti di epistolario che ne parlano; lo sviluppo del mito letterario; gli pseudobiblia paralleli e i molti libri improbabili ma veri tra i quali questi si confondono; i Necronomicon ipotetici, avvistati qua e là, e quelli concreti acquistabili in commercio.

Il saggio H.P. Lovecraft Storia e Cronologia del Necronomicon era già apparso nel 2002 presso Mondo Ignoto, edizioni di Profondo Rosso. Non si tratta però di una ristampa: i contenuti, che pure in buona parte coincidono, sono riveduti e largamente ampliati a partire dalle note alla Storia e cronologia, approfondite in ogni aspetto. La nascita e sviluppo del mito viene introdotta da un nuovo intervento, che sfata le dicerie sul Lovecraft “occulto” ma afferma al contempo il valore intuitivo della sua “visione.” Fusco, che ha curato diversi testi di tradizione magica ed esoterismo firmati a volte con lo pseudonimo di Jorg Sabellicus, è in in quest’ottica che affronta l’argomento, e al capitolo sui contenuti del Necronomicon aggiunge una possibile ricostruzione delle diverse tradizioni occulte che tale testo avrebbe potuto contenere. La sezione sulle sue “manifestazioni” si allarga ai contenuti del web, e anche le biblioteche reali e immaginarie si aggiornano. Si aggiunge un’analisi della poesia con traduzioni dal ciclo dei Fungi From Yuggoth, un’altra sulle effettive (e oggettivamente scarse) conoscenze del Gentiluomo di Providence in fatto di magia, più un’appendice su Pierre Borel, il “Borellus” citato ne Il caso di Charles Dexter Ward.

Sempre rispetto alla precedente edizione, l’iconografia di documenti, autografi e originali lovecraftiani si avvantaggia di un più grande formato di stampa, ma si perdono diverse foto e scompare il complesso di illustrazioni del 2002, conservando tre sole tavole del Necronomicon di Philippe Druillet.

Condivisibile o meno in certo approccio, l’opera è quanto di più completo e approfondito possa trovarsi oggi in italiano sul tema.

Storia del Necronomicon di H.P.Lovecraft
Sebastiano Fusco
collana Le Porte di Venexia, Venexia, 2007
brossura, 336 pagine, Euro 26,50
ISBN 978-88-87944-51-8


lunedì 12 novembre 2007

Wojciech Siudmak, "iperrealista fantastico"



Nato in Polonia nel 1942, dal 1966 Wojciech Siudmak vive in Francia dove, negli anni 70 e 80 specialmente, ha realizzato innumerevoli copertine per l'editoria di fantascienza divenendo uno dei maggiori illustratori mondiali del settore. In Italia, dove sembra non essere altrettanto noto, una sua mostra si è tenuta nel 2001 presso L'Istituto Polacco di Roma.

Si definisce un "iperrealista fantastico" nella corrente del realismo surreale. Piuttosto tradizionale nei suoi soggetti fantasy, l'mmaginario di Siudmak trova invece maggior respiro, originalità ed efficacia nel fantastico puro lasciando spazio al surrealismo delle inquietudini. I suoi dipinti più cupi sembrano trovare qualcosa in comune con lo scomparso connazionale Zdzislaw Beksinski, pur senza condividerne un'altrettanto apocalittica visione.

Galleria: Wojciech Siudmak in manekin.org

sabato 10 novembre 2007

Necro #4 : Dampyr, Thomas Ligotti e altri orrori


Fresco di presentazione a Lucca Comics And Games è uscito il numero 4 di Necro, trimestrale horror di "weird things, dark stuff, odd people" come recita l'intestazione sul titolo.

E quando chi scrive si trova in qualche modo coinvolto nella pubblicazione di cui sta parlando, è lecito che la frase "promozione editoriale" si accenda come un'insegna al neon nella testa di chi legge, sempre che in chi legge resti quel barlume di senso critico non ancora anestetizzato dai media.

Questa quindi, è anche promozione. Ciò non toglie che Necro, nel solito oceano di difficoltà fra tempeste e sargassi nel quale si trovano a navigare le riviste di fresco varo, abbia aggiustato lo scafo, il sartiame, la ciurma e anche il tiro delle bordate di cannone in questo suo primo anno di crociera, e sia in grado di veleggiare da sé senza bisogno di soffiare per illudersi di dare più forza al vento.

Affermare che "i contenuti parlano da soli" è un altro luogo comune (o un surreale soliloquio cartaceo, volendo prendere la frase perversamente alla lettera), ma rende bene l’idea.
Cinema e letteratura; fumetto e illustrazione; musica e gioco. E critica. Tutti gli aspetti dell'horror si trovano rappresentati su queste pagine, e non direi siano molte altre le pagine italiane che possono offrire altrettanto in varietà e approfondimento.
La narrativa breve pubblicata su Necro ha visto proporre nuovi nomi italiani accanto ad altri più noti, quali Claudia Salvatori e Danilo Arona, e a una rispettabile serie di inediti di lingua inglese. Autori di peso nell'horror contemporaneo eppure poco noti o del tutto trascurati in Italia: Tom Piccirilli, Tim Lebbon, Jack Ketchum e, in quest’ultima uscita, l’emblematico Thomas Ligotti.
C’è sostanza quanto basta, dunque, per consigliare l’investimento dei sei euro del prezzo di copertina, e dare personalmente un’occhiata al tutto.

Il quarto numero del trimestrale Necro sarà in fumetteria verso la fine di novembre, ma può già essere acquistato direttamente presso l’editore Cagliostro ePress. Per ordini, abbonamenti e informazioni: necro.it.

NECRO
anno I, numero IV, novembre 2007
rivista, 56 pagine, Euro 6,00

Contenuti del numero

Cinema:
Anteprima
Saw IV
Anteprima
Doomsday
Speciale: i film horror di Natale
Speciale: il cinema "di genere" della Thailandia

Interviste:
allo scrittore e sceneggiatore Mauro Boselli
al giornalista e romanziere Edoardo Montolli

Fumetti:
La bambina senza bocca di Luca Belloni e Samanta Leone
Sottoterra di Alfelf

Racconti:
L'angelo della signora Rinaldi di Thomas Ligotti
Sssh di Riccardo Coltri
Il re dell'arena di Giuseppe Pastore

Narrativa:
Alla scoperta di Thomas Ligotti
Saggio: La visione del mondo e il Weird Tale
Clive Barker: giorni di magia, notti di guerra

E ancora...
I giochi di carte di Cthulhu
Recensioni Letterarie
Recensioni Musicali
Strisce umoristiche

giovedì 8 novembre 2007

Alla fiera dei mostri


La letteratura fantastica italiana non è solo quella «alta» e, a posteriori, un po’ snob, erede dei vari Leopardi, Calvino o Buzzati. Esiste una folta produzione di storie popolari che lettori di ogni estrazione hanno frequentato tra la fine del XIX secolo e la prima metà del XX, sui tanti periodici in voga. Una tradizione prima disprezzata e poi dimenticata, quasi rimossa, recentemente riemersa in alcuni studi di «archeologia dell’immaginario» di cui Alla fiera dei mostri raccoglie ora il testimone. Una corposa rassegna di autori e racconti dal 1899 al 1932, che circolavano su riviste come La Domenica del Corrie­re e Per Terra e per Mare (diretta da Emilio Salgari), concor­rendo per inventiva con ammirati e contemporanei pulps americani quali Weird Tales o Amazing Stories.

Ci avevamo quasi creduto, dopo oltre mezzo secolo di critica, alla solita storia che in Italia manchi da sempre una “cultura del fantastico”. Ce l’hanno ripetuto, dall’alto dei salotti letterari, con la rassicurante frequenza di un mantra accademico. Ma se è vero che il nostro realismo risorgimentale ha portato al rifiuto del fantastico nella letteratura “che conta”, salvo sfiorarne occasionalmente i temi fra curiosità e scettica sufficienza, è pur vero che bastava rovistare tra soffitte e fondi di biblioteca per riscoprire un fantastico popolare diffuso allora sulle nostre riviste esattamente come in America o altrove.

Una preliminare esplorazione in tale “buco” della memoria nazionale si è avuta nel 2001 con Le aeronavi dei Savoia, Protofantascienza italiana 1891-1952, un’antologia di racconti curata da Gianfranco de Turris insieme a Claudio Gallo, autore, quest’ultimo, di una significativa postfazione per Alla fiera dei mostri, volume introdotto da un intervento di Luca Crovi.

Primo serio approccio critico all’argomento, il saggio di Foni prende in esame un trentennio circa di narrativa popolare apparsa su testate di vasta diffusione, pubblicazioni che fra sensazionalismo e cronaca proponevano narrativa di ogni tipo, non esclusi l’orrore, il futuribile e il racconto soprannaturale con le stesse modalità delle più note e coeve riviste d’oltreoceano. Con minor incisività e “mestiere”, probabilmente, ma talora persino anticipando certi temi del fantastico di lingua inglese.

Il lavoro di Fabrizio Foni, ventisettenne ricercatore di italianistica presso l’Università di Trieste, si sviluppa in cinque corposi capitoli illustrando i finora insospettati contenuti weird e horror delle pagine esaminate, individuando opere e autori, fornendo brani di testo e approfondendone tematica e fonti, in base alle contemporanee influenze culturali e in costante confronto con gli analoghi e ben più conosciuti esempi dell’editoria statunitense fino agli anni ‘30.

Di minor impatto la parte finale del libro, che offre comunque un concreto sfondo all’epoca di riferimento, ripercorrendo quell’intreccio di argomenti e modalità espressive che dall’esibizione dei freaks nelle “fiere dei mostri”, appunto, giunge fino al cinema passando per il fumetto, il teatro del Grand Guignol e i fenomeni in voga sino al primo ‘900 dal mesmerismo allo spiritismo alla teosofia.

Corredato da una vasta iconografia di riproduzioni in bianco e nero, il libro è di piacevole lettura pur mantenendo la salda struttura di una ricerca accademica, ricco di note esplicative necessarie in tal genere di saggistica.

A volte ulteriormente approfondibili, come quando ci si interroga sul modo in cui Giovanni Magherini Graziani giunse a essere l’unico italiano mai pubblicato su Weird Tales, nel 1934 (il suo racconto Fioraccio fu tratto in realtà da Modern Ghosts, antologia americana del 1890 ampliamente saccheggiata dal magazine per gli autori stranieri contenuti).

Primaria fonte di consultazione e vera pietra miliare nello studio e la riscoperta della letteratura popolare italiana di genere, c’è da sperare che Alla fiera dei mostri dia seguito a un’ulteriore opera di recupero del materiale originale, e quant’altro si celi in queste mai catalogate edizioni.

Magari, qualcuno si accorgerà che in Italia un fantastico pulp ante litteram in fondo già c’era, percorso in via parallela e perduto per strada nel solo momento in cui il mercato editoriale radicalmente si differenziava, passando da un contenitore generalista a uno di esclusivo genere, per scomparire quindi nella storica intolleranza locale al “non-realismo”.

Alla fiera dei mostri
Fabrizio Foni
collana Lapilli, Tunué, 2007
brossura, 358 pagine, Euro 22,50
ISBN 8889613203


(Recensione pubblicata sulla rivista Necro - anno I, numero III, agosto-settembre-ottobre 2007)

martedì 6 novembre 2007

Aeron Alfrey. "Mostre dal Museo Immaginario"

Alla sua galleria di elaborazioni digitali Exhibits from the Imaginary Museum, ospitata sul sito ufficiale di Thomas Ligotti, è stato appena assegnato un International Horror Guild's Award.

Diversi disegni e grafiche surreali sparsi negli ultimi anni per il web. La partecipazione in Svizzera alla mostra collettiva lovecraftiana L'expo qui rend fou / An Exhibition of Unspeakable Things. Poche righe su di lui in rete: un laconico profilo, collegato a una manciata di blog differenti, che riassume i suoi interessi nel "fare arte, guardare film horror e gridare ai muri."

Non è che ci sia molto altro da dire su Aeron Alfrey. D'altro, semmai, c'è molto più da vedere...

Galleria: Aeron Alfrey. Exhibits from the Imaginary Museum

sabato 3 novembre 2007

Fantasmi in biblioteca


Due inediti di M.R. James, indiscusso maestro dell’orrore soprannaturale, completano una selezione di storie di spettri tipicamente britanniche, unite da uno stretto intreccio di elementi in comune: tutti gli autori furono seri accademici protetti da un qualche pseudonimo; gli orrori d’oltretomba si manifestano in luoghi sempre legati al mondo universitario di Cambridge, fatto di edifici gotici, studenti in toga, strade nebbiose e apparentemente serene campagne; e, infine, l’arte sottile di generare in chi legge un crescere ora di implacabile disagio, ora di autentico terrore, ottenendo il tutto con estrema economia di mezzi. I particolari eruditi dell’ambientazione, peculiare fascino di tali storie, convivono con gli effetti angoscianti creati da queste spettrali e implacate presenze, nella più pura tradizione jamesiana.

Se il termine "lovecraftiano" è ormai diventato un aggettivo d’uso corrente, non è oggi da meno il nome di M.R. James nel definire, se non altro presso gli appassionati, un preciso modello di ghost story inglese della prima parte del ventesimo secolo, legato a un certo gusto per l’antiquariato e la bibliofilia, a un ambiente accademico oppure ecclesiastico con i suoi personaggi spesso impegnati in erudite ricerche, in uno scavare nel passato, remoto o recente che sia, che li porta a imbattersi nelle più sinistre e innaturali vicende.

Fantasmi in biblioteca raccoglie dodici di queste storie a suo tempo riscoperte e proposte da Ghosts & Scholars, una pubblicazione devota ai modelli jamesiani del genere, a cura dell’esperta Rosemary Pardoe che presenta ogni racconto attraverso brevi e puntuali note introduttive.

Celati da un prudenziale pseudonimo, resta tuttavia oscura la reale identità gli autori al di là dello stesso James, ognuno pubblicato fra il 1911 e il 1914 su riviste interne delle università quali The Cambridge Review o il Magdalene College Magazine.

Convenzionali ma affascinanti nel loro ritratto di vita accademica, i cinque racconti di “B” vengono indicativamente attribuiti ad Arthur Christopher Benson, che diresse il Magdalene College dal 1915 sino alla morte, nel 1925. Apprezzato scrittore, fratello di Robert Hugh Benson e del più noto Edward Frederick Benson, A.C. Benson ha firmato a sua volta alcune buone storie del soprannaturale.

Dietro al nome di Inghulpus si presume potesse nascondersi Arthur Gray, un illustre studioso di Shakespeare alla guida del Jesus College fino al 1940, qui a narrarci di un singolare club le cui riunioni sfidano i limiti dell’esistenza terrena.

Moderno ed efficace nell’affrontare il tema del “libro maledetto” è il racconto di D.N.J., un misterioso collega di M.R. James, suo probabile amico e coetaneo, che nelle due sole opere brevi lasciateci (l’altra è reperibile in Racconti Sinistri, ancora presso Bonnard Edizioni) dimostra di ben conoscere e padroneggiare la narrativa fantastica del suo tempo. Forse persino in anticipo su talune successive tendenze.

Chiudono il volume due frammenti di Montague Rhodes James finora inediti per l’Italia, ritrovati fra le sue carte personali e rimasti in manoscritto fino agli anni 90. La Strega di Fenstanton è la bozza di un racconto, completo ma ancora non rifinito del tutto, basato sulle ambizioni occulte di due fellows e le spiacevoli conseguenze che tali “studenti anziani” non mancheranno infine di pagare. Una notte nella cappella del King’s College rappresenta invece una divertita fantasia sull’animazione delle vetrate istoriate che impreziosiscono l’edificio.

Mario Conetti traduce e cura ottimamente l’edizione, corredandola di un’utilissima introduzione che funge da autentica guida per il complesso microcosmo di Cambridge, le cui antiche istituzioni conservano tradizioni e terminologie del tutto proprie e particolari. Un vademecum necessario al pieno apprezzamento dei testi.

Con la presente antologia, insieme alla precedente Racconti Sinistri curata da Ramsey Campbell e a raccolte come La mano d’alabastro di A.N.L. Munby, le Edizioni Bonnard hanno l’indubbio merito aver riportato in libreria (non senza un certo coraggio) qualcosa di originale nel campo dell’horror classico, per la narrativa breve in special modo, fossilizzato altrimenti in una logica di eterne ristampe.

Fantasmi in biblioteca
M.R. James e altri
collana Il piacere di leggere, Sylvestre Bonnard, 2007
brossura, 158 pagine, Euro 15,00
ISBN 978-88-89609-33-0


(Recensione pubblicata sulla rivista Necro - anno I, numero III, agosto-settembre-ottobre 2007)